L'Editoriale
Domenica 02 Aprile 2017
Sisma,si ricostruisce
Il modello da seguire
Prima la paura per le scosse continue, il terremoto seriale che non ha abbandonato per mesi il cuore dell’Italia. Poi le promesse, i soldi trovati e stanziati, il denaro dell’Europa, i progetti e i disegni di una ricostruzione che verrà. Eppure non basta, perché oggi ciò che fa paura è la precarietà e allora monta il senso di abbandono e di finire ultimi della fila in un Paese che continua a soffrire e stenta a ripartire tra dati contradditori dell’uscita dalla crisi. Le proteste di ieri della gente del cuore dell’Italia ferita dal terremoto lungo le strade e davanti al palazzi della politica a Roma segnano il dramma senza fine nella quale si sente costretta.
Non c’erano i sindaci con le fasce tricolori, ma questo non significa che la protesta possa essere rubricata come minore, frutto di tribolazioni irrazionali a metà strada tra populismo e dissenso ribelle. Ciò che accaduto in Italia dopo tanti terremoti e disastri ambientali con il seguito di inchieste giudiziarie per quello che doveva essere fatto e non è stato fatto, è una spina conficcata nel cuore profondo della nazione e della gente, che non può purtroppo che alzare la voce, magari scompostamente.
Ma è una voce che deve essere ascoltata e non può essere liquidata come espressione di malcontento che poi passa. L’impressione è che oggi poche siano le persone in grado di dare fiducia. Il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella è stato più volte nei Comuni dell’Italia centrale. È una persona che dà fiducia. Anche Papa Francesco lo ha fatto. Ha abbracciato e incoraggiato. Anche lui è uno che dà fiducia. Ma non basta. Il timore è che l’eccessiva burocrazia possa rallentare e così luoghi meravigliosi spariscano perché la gente non ha più le case e le chiese e soprattutto non ha più lavoro. Le proteste di ieri sono il frutto della passione di persone che amano la propria terra. Il Papa e il Presidente in questi mesi hanno abbracciato le fatiche e le angosce, il vuoto, il ritardo, le delusioni e la stanchezza della gente. Ma anche la loro speranza. Oggi Bergoglio arriva a Carpi terra squassata e ferita cinque anni fa da un altro terremoto, borghi e lavoro sbaragliati dalle scosse, 28 morti nel cuore dell’Emilia più ricca e sicuramente meno abbandonata delle montagne della Laga e del Gran Sasso, di Arquata del Tronto, di Amatrice, delle Marche e dell’Umbria, piccoli Comuni che già faticavano tra abbandono della montagna e precarietà economica. La ricostruzione del distretto di Carpi e di Mirandola è stata sicuramente virtuosa e il terremoto qui ha fatto da volano allo sviluppo. Nei pochi chilometri attorno a Mirandola si sviluppava un distretto economico tra i più importanti d’Italia, il distretto del «biomedical», industrie ad altissima tecnologia dei dispositivi medici, che conta quasi il 2% del Pil italiano, 100 industrie, migliaia di posti di lavoro, volume di affari alle stelle ed export per il 70 %. Dopo cinque anni sono tutte ripartite ed anzi i posti di lavoro sono aumentati, esempio perfetto di una ricostruzione che ha privilegiato prima il lavoro e le scuole e insieme le case per evitare che la popolazione andasse via. È un esempio perfetto che potrebbe essere replicato anche per il terremoto del Centro Italia. Il merito va ad un coordinamento virtuoso tra tutti gli attori istituzionali e privati che vi hanno collaborato. Chi ha guidato la ricostruzione dell’Emilia, l’ex presidente della Regione Vasco Errani, è adesso commissario straordinario per il terremoto dell’Italia centrale. La sua scelta è senza dubbio una garanzia. Ma a patto che ognuno faccia la sua parte.
Il problema resta la burocrazia, che è cosa diversa dal rispetto delle regole. Mons. Domenico Pompili, il vescovo di Rieti, una delle diocesi più colpite nei mesi scorsi, ha usato parole sagge e perfette, che possono servire per rimettere in riga il Paese e avviare una riflessione cruciale: «La burocrazia non è un male necessario, ma un bene difficile». Sono parole che cambiano la prospettiva, decisive anche per ricondurre le proteste e il malcontento nel binario giusto del controllo e della vigilanza democratica e popolare. In Italia ci sono modelli che possono essere copiati. C’è il «Modello Friuli» e ora anche il «Modello Emilia». Non possiamo disperare di poter scrivere tra qualche tempo anche di un «Modello Amatrice».
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