Sisma,si ricostruisce
Il modello da seguire

Prima la paura per le scosse continue, il terremoto seriale che non ha abbandonato per mesi il cuore dell’Italia. Poi le promesse, i soldi trovati e stanziati, il denaro dell’Europa, i progetti e i disegni di una ricostruzione che verrà. Eppure non basta, perché oggi ciò che fa paura è la precarietà e allora monta il senso di abbandono e di finire ultimi della fila in un Paese che continua a soffrire e stenta a ripartire tra dati contradditori dell’uscita dalla crisi. Le proteste di ieri della gente del cuore dell’Italia ferita dal terremoto lungo le strade e davanti al palazzi della politica a Roma segnano il dramma senza fine nella quale si sente costretta.

Non c’erano i sindaci con le fasce tricolori, ma questo non significa che la protesta possa essere rubricata come minore, frutto di tribolazioni irrazionali a metà strada tra populismo e dissenso ribelle. Ciò che accaduto in Italia dopo tanti terremoti e disastri ambientali con il seguito di inchieste giudiziarie per quello che doveva essere fatto e non è stato fatto, è una spina conficcata nel cuore profondo della nazione e della gente, che non può purtroppo che alzare la voce, magari scompostamente.

Ma è una voce che deve essere ascoltata e non può essere liquidata come espressione di malcontento che poi passa. L’impressione è che oggi poche siano le persone in grado di dare fiducia. Il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella è stato più volte nei Comuni dell’Italia centrale. È una persona che dà fiducia. Anche Papa Francesco lo ha fatto. Ha abbracciato e incoraggiato. Anche lui è uno che dà fiducia. Ma non basta. Il timore è che l’eccessiva burocrazia possa rallentare e così luoghi meravigliosi spariscano perché la gente non ha più le case e le chiese e soprattutto non ha più lavoro. Le proteste di ieri sono il frutto della passione di persone che amano la propria terra. Il Papa e il Presidente in questi mesi hanno abbracciato le fatiche e le angosce, il vuoto, il ritardo, le delusioni e la stanchezza della gente. Ma anche la loro speranza. Oggi Bergoglio arriva a Carpi terra squassata e ferita cinque anni fa da un altro terremoto, borghi e lavoro sbaragliati dalle scosse, 28 morti nel cuore dell’Emilia più ricca e sicuramente meno abbandonata delle montagne della Laga e del Gran Sasso, di Arquata del Tronto, di Amatrice, delle Marche e dell’Umbria, piccoli Comuni che già faticavano tra abbandono della montagna e precarietà economica. La ricostruzione del distretto di Carpi e di Mirandola è stata sicuramente virtuosa e il terremoto qui ha fatto da volano allo sviluppo. Nei pochi chilometri attorno a Mirandola si sviluppava un distretto economico tra i più importanti d’Italia, il distretto del «biomedical», industrie ad altissima tecnologia dei dispositivi medici, che conta quasi il 2% del Pil italiano, 100 industrie, migliaia di posti di lavoro, volume di affari alle stelle ed export per il 70 %. Dopo cinque anni sono tutte ripartite ed anzi i posti di lavoro sono aumentati, esempio perfetto di una ricostruzione che ha privilegiato prima il lavoro e le scuole e insieme le case per evitare che la popolazione andasse via. È un esempio perfetto che potrebbe essere replicato anche per il terremoto del Centro Italia. Il merito va ad un coordinamento virtuoso tra tutti gli attori istituzionali e privati che vi hanno collaborato. Chi ha guidato la ricostruzione dell’Emilia, l’ex presidente della Regione Vasco Errani, è adesso commissario straordinario per il terremoto dell’Italia centrale. La sua scelta è senza dubbio una garanzia. Ma a patto che ognuno faccia la sua parte.

Il problema resta la burocrazia, che è cosa diversa dal rispetto delle regole. Mons. Domenico Pompili, il vescovo di Rieti, una delle diocesi più colpite nei mesi scorsi, ha usato parole sagge e perfette, che possono servire per rimettere in riga il Paese e avviare una riflessione cruciale: «La burocrazia non è un male necessario, ma un bene difficile». Sono parole che cambiano la prospettiva, decisive anche per ricondurre le proteste e il malcontento nel binario giusto del controllo e della vigilanza democratica e popolare. In Italia ci sono modelli che possono essere copiati. C’è il «Modello Friuli» e ora anche il «Modello Emilia». Non possiamo disperare di poter scrivere tra qualche tempo anche di un «Modello Amatrice».

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