L'Editoriale
Venerdì 30 Dicembre 2016
Reti sociali per aiutare
democrazie svuotate
Il lascito prezioso del referendum costituzionale – lo abbiamo detto – non è l’alterazione degli equilibri partitici, ma un’inattesa volontà di partecipazione, materiale indispensabile per ridare sostanza a una democrazia svuotata. Lo sottolinea anche Giuseppe De Rita, dalle pagine del Corriere, indicando la rotta dalla partecipazione una tantum alla rappresentanza sociale. Il percorso è impervio, ma è l’unica strada seria, a meno di non confidare ancora nel miracolo di una nuova leadership risolutiva. Tre spunti per il viaggio. Il primo: per fare spazio alla partecipazione e alle formazioni sociali occorre valorizzare e puntare sulle autonomie territoriali (i Comuni soprattutto). Esse sono il naturale collegamento tra le istituzioni della democrazia e la cittadinanza. A Bergamo, un luogo, potenzialmente prezioso, di questa strategia potrebbero essere le «reti sociali», strumento di coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni nell’autogoverno dei quartieri.
Il secondo: gli strumenti di una rappresentanza organica degli interessi economici e sociali sono in crisi. Definitiva? Nell’esito referendario si è salvato il Cnel, ma la sua vitalità appare compromessa. È superato il modello della rappresentanza di interessi organizzati, posto che questi sono profondamente frammentati e disomogenei; o il problema sta in una cattiva interpretazione da parte degli attori coinvolti?
Nella prima prospettiva, andrebbe riconosciuta una crisi non contingente, ma strutturale, che però porrebbe il problema di quali possano essere le forme alternative di interlocuzione degli interessi economici con le istituzioni politiche. E tuttavia organi di rappresentanza politica degli interessi esistono in altre esperienze e nella stessa Unione europea (il Comitato economico e sociale). E, in una recente proposta di radicalizzazione della democrazia, un importante costituzionalista francese, D. Rousseau, ha rilanciato l’istituzione di un’assemblea dei corpi sociali con funzioni non meramente consultive, ma deliberative. Per l’autore, tale assemblea dovrebbe dare voce alla doppia identità del popolo: oltre al popolo come corpo politico – l’insieme dei cittadini astratti, visibile attraverso la rappresentanza politica – esiste infatti il popolo come corpo sociale, fatto dai cittadini che si realizzano nelle loro attività professionali e sociali. Il Cnel stesso non mirava a una semplice interlocuzione tra soggetti economici e istituzioni politiche, ma promoveva l’avvio di processi mediativi tra gli stessi differenti interessi sociali ed economici, impegnandoli nella ricerca di una composizione entro un progetto comune.
Terzo spunto: la lamentata tendenza alla disintermediazione, con la connessa crisi delle formazioni sociali e dei corpi intermedi, non equivale automaticamente al tramonto della partecipazione. Contestualmente, infatti, assistiamo a un protagonismo della cittadinanza attiva nella cura civica. Sembra cioè prevalere un modello di partecipazione che non coagula interessi o formazioni sociali durature, bensì traduce un impegno mirato di singoli individui su specifiche progettualità sociali e amministrative.
Non è cioè uno sguardo politico complessivo che anima questa forma diffusa di partecipazione, bensì un’attivazione puntuale e concreta. Il problema che si pone è capire se queste forme di cittadinanza attiva siano strumenti di una partecipazione molecolare, se non liquida, destinata a rimanere tale, o se siano, in prospettiva, vettori di una riorganizzazione del corpo sociale.
Più che di ingegneria istituzionale, c’è bisogno di ripensare alle forme e ai soggetti della partecipazione sociale e politica.
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