L'Editoriale
Giovedì 13 Luglio 2017
Questione giovanile
priorità assoluta
Rispetto all’equilibrio e al disincanto che si raggiungono con gli anni, per un giovane è naturale e giusto sentirsi più che utile: sentirsi indispensabile al futuro! Dovrebbe dunque essere doveroso per un Paese di grandi tradizioni politiche e sociali come l’Italia porsi in grado di garantire opportunità di lavoro e di crescita ai giovani più preparati e più disposti a realizzare le proprie aspirazioni personali. Come ben sappiamo, però, oggi non è così. Tendenze sociali, politiche ed economiche affermatesi da tempo, nonché la pesante crisi degli ultimi anni, hanno esercitato effetti particolarmente negativi sulla condizione giovanile. Molti giovani vivono nella sfiducia e nello smarrimento.
La perdurante mancanza di prospettive di lavoro, anche per i migliori neodiplomati e neolaureati, trascina nella povertà non poche famiglie, utilizzate per periodi troppo lunghi come salvifico ammortizzatore sociale. I più istruiti, i più bravi, i più intraprendenti emigrano verso altri Paesi in cerca di gratificanti e stabili occasioni di lavoro.
La circostanza avrebbe connotati positivi se si determinassero, dopo qualche tempo, le condizioni per un loro ritorno. Ipotesi questa che appare assai lontana visto che il nostro Paese offre un desolante quadro d’immobilismo e di tendenza all’autoconservazione delle «elites» in quasi tutti i settori strategici della società, pubblici e privati. È la prima volta, nella storia del nostro Paese degli ultimi 50 anni, che molti giovani (circa il 40%) si trovano a vivere in stato di disoccupazione o di occupazione precaria fino ad oltre i 35 anni. Poche altre epoche, del resto, hanno visto una stagnazione economica così lunga e una trasformazione produttiva e culturale così vorticosa, insieme ad una così vorticosa crisi di valori. La scuola, la famiglia, l’oratorio, che per tanti decenni hanno formato una solida triade educativa, vivono una crisi profonda cui si cerca di far fronte tra tante difficoltà.
La piazza, la strada, il bar, da sempre agenzie di socializzazione informale, sono divenuti spazi di aggregazione dai contorni sbiaditi, spesso fonti d’inquietanti pericoli. Ormai, in quasi tutte le aree del Paese, varie organizzazioni criminali (un tempo limitate al Sud) hanno assunto il controllo di realtà economiche e di molte attività commerciali in difficoltà, coinvolgendo manodopera giovanile con la promessa di lauti guadagni. La sottovalutazione di questa realtà da parte di governi, enti locali e organi di polizia ha fatto sì che acquisissero sempre più spazio lo spaccio di droghe, i furti, gli atti di violenza e di bullismo, il razzismo, la tendenza a squalificare figure autoritarie (insegnanti, genitori, tutori dell’ordine ecc.). Questa drammatica situazione va affrontata come una priorità assoluta, evitando di pensare alla questione giovanile come ad un problema parziale o di categoria. Occorre evitare iniziative propagandistiche che si propongono di «fare qualcosa e subito per i giovani» e che portano a risultati modesti e di breve periodo.
Per risolvere il problema non basta creare qualche assessorato alla gioventù o qualche forma di assistenza travestita da lavoro. Necessitano, piuttosto, riforme strutturali orientate a stimolare la crescita, dalla quale dipende l’aumento dell’occupazione in generale e, di conseguenza, di quella giovanile. Tra queste riforme, rivestono particolare rilievo: una revisione organica del «welfare», allo scopo di accrescere e migliorare i servizi alla collettività e di attenuare le sacche di povertà; una riforma fiscale che «guardi anche alle cose, oltreché alle persone», e che sia orientata ad un contenimento delle aliquote per le imprese che investono e per i ceti medio-bassi; il rientro progressivo del debito pubblico - reso oltretutto urgente in previsione di un aumento dei tassi - attraverso penetranti interventi di «spending review». Quella recentemente realizzata di 20 miliardi di euro è un ottimo segnale che merita conferme.
Tutte le risorse derivanti da questi interventi dovrebbero essere destinate: ad accrescere gli stanziamenti per ricerca, innovazione, istruzione e formazione; a valorizzare le tante ricchezze artistiche sparse per il Paese; a finanziare un progetto d’investimenti pubblici destinato alla tutela dei territori a rischio per esondazioni, frane e terremoti. L’utilizzo esteso di «minicantieri» potrebbe favorire l’occupazione di molti giovani che già si dedicano alla salvaguardia del territorio come volontariato. Oggi, è richiesto a tutti i livelli di responsabilità pubblica e privata di superare ogni egoistica immutabilità, per assolvere al compito di dare corpo ad una nuova società per i giovani.
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