Quell’idea dell’Ocse
rimasta sulla carta

Leadership e al tempo stesso equità. Condivisione e coinvolgimento. Impegno e soprattutto «volontà di fare» da parte di tutti. Altrimenti, nascono partnership (i famosi tavoli) che non fanno nulla. Sta in questi ingredienti la ricetta Ocse per il governo del territorio. Ed è una tiratina d’orecchie (molto garbata) per Bergamo. Già nel 2001, infatti, il Rapporto sulla nostra economia aveva evidenziato la necessità di una regìa locale per lo sviluppo. Quasi quindici anni dopo, siamo più o meno allo stesso punto di partenza.

Tanto che gli esperti Ocse hanno pensato bene di rimarcare che l’alleanza a tre fra pubblico, privato e mondo accademico deve essere formalizzata e non può essere lasciata al caso. Deve vivere di vita propria, al di là delle stagioni di enti e istituzioni, per dare continuità e coerenza alle strategie. E, punto non indifferente, deve gestire risorse (e averle, prima di tutto).

Se c’è uno scoglio, infatti, contro il quale si sono inabissate le migliori intenzioni del progetto Val Seriana dell’aprile 2009, poi evoluto nel modello Bergamo, è proprio la mancanza di fondi. Quelli europei ventilati a suo tempo non si sono mai visti. C’è anche chi accusa un certo malessere, oggi, a sentir parlare ancora di modello Bergamo. Gli obiettivi erano ambiziosi, lodevoli e condivisibili: recuperare nel terziario metà dei posti persi nell’industria. Ma dopo anni, il bilancio potrebbe essere impietoso.

Eppure il Rapporto Ocse, di cui ieri sono stati presentati i punti chiave in attesa del testo completo che arriverà nei prossimi mesi, dice due cose importanti. La prima è che l’industria non è morta. Tutt’altro. Dà il 35% del valore aggiunto della nostra economia. Resta il nostro punto di forza su cui costruire il futuro e non è banale dirlo. Significa recuperare un po’ di consapevolezza su cosa significa manifattura dalle nostre parte: qui si creano ricchezza e conoscenze, mentre per anni si è pensato di poterne fare a meno. E non dimentichiamoci che lo stesso Rapporto Ocse nell’edizione 2001 indicava nel turismo una strada alternativa di sviluppo, mentre oggi aggiusta il tiro: l’industria è al primo posto, il turismo un corollario di complemento. Questa manifattura, che ha fatto grandi cose, deve decidere però, come dicono gli esperti Ocse, se andare avanti come negli ultimi cent’anni oppure cambiare. La risposta è scontata.

La seconda cosa importante che il Rapporto dice, o la prima a pari merito, è la strategia: possiamo fare molto di più, recuperare il gap di competitività che abbiamo accumulato negli ultimi anni, ma dobbiamo partire da una visione comune. Gli attori chiave del territorio devono mettersi insieme e lavorare nella stessa direzione. Al bando alchimie, liturgie, giochi di potere e gelosie. Non c’è tempo da perdere: siamo una terra ricca, ma potremmo esserlo ancora non per molto. A Göteborg si sono mossi: «Hanno deciso cosa fare e come in poco tempo», ha raccontato uno degli esperti. Il modello Bergamo può essere un’idea in embrione di governo del territorio? Si parta da lì. O si riparta da zero. Basta che ci si muova, senza scuse, e soprattutto che si faccia, portando a casa i soldi che servono per dare gambe ai progetti: per aumentare le competenze dei lavoratori, per fare più innovazione, per far crescere le Pmi, per portare in provincia investimenti esteri. Tanti investimenti.

E se il futuro di Bergamo dovrà guardare più a Milano o a Brescia forse oggi conta poco. Dalla metropoli possiamo assimilare risorse, competenze e servizi. Con la Leonessa possiamo bilanciare (per quanto si possa bilanciare) il potere dell’area metropolitana. Ma la prima partita, Bergamo la deve giocare tutta per sè. Con un po’ di orgoglio e tanta volontà di fare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA