L'Editoriale
Lunedì 10 Settembre 2018
Quell’abilità comunicativa
che fa volare i consensi
Mai luna di miele di un governo con la propria opinione pubblica fu più fruttuosa. Il gradimento dell’esecutivo viaggia attorno al 60%. Stessa percentuale di popolarità è attribuita a Conte, un presidente del Consiglio peraltro evanescente come pochi. Non parliamo poi degli assi portanti della maggioranza. Il M5S non si stacca dalla vetta del 30% conquistata il 4 marzo. La Lega in sei mesi ha addirittura raddoppiato (parliamo di sondaggi) il sorprendente 17% di voti raccolti nelle urne. Un risultato, questo, ancor più stupefacente se si considera che i nostri non sono tempi favorevoli a chi ricopre responsabilità di governo.
Renzi in tre anni di premierato ha bruciato quasi due terzi del suo consenso, passando dal 40 al 19%. Il discorso non cambia se si guarda all’Europa. Salvo la Merkel, ultimamente chi si è presentato agli elettori da premier uscente ha avuto il destino segnato. C’è da chiedersi quale sia la ragione di questa anomalia tutta italiana che vede il governo dei populisti continuare ad avere il vento in poppa. La risposta non sta certo nelle poche realizzazioni fatte, ma piuttosto nel loro stile comunicativo.
A procurare popolarità contribuisce anzitutto l’enfasi con cui richiamano il loro carattere di forza irriducibilmente anti-establishment, nemica del mainstream partitico dominante, in Italia come a Bruxelles. Per quanto Lega e Pentastellati siano ormai gli inquilini del Palazzo, si comportano come se fossero dei capi-popolo di una piazza in rivolta contro la Casta dei vecchi partiti. Questo espediente retorico offre loro in effetti un doppio vantaggio. Consente innanzitutto di sfuggire alla trappola che imprigiona sempre i partiti passati a responsabilità di governo. I nostri campioni del populismo in tal modo possono anche evitare di farsi incasellare nello schema destra/sinistra.
Si protestano invece come «le forze del cambiamento» al pari del loro presidente del Consiglio che si vanta di essere «l’avvocato del popolo» e di mettere sempre «al centro i cittadini, non i mercati e le agenzie finanziarie». Ogni loro atto, soprattutto ogni loro proclama (si tratti di vaccini, della ricostruzione del ponte crollato a Genova, del rating stilato dall’agenzia Fitch, delle compatibilità di bilancio, di grandi opere già in cantiere, di concessioni pubbliche) mira, innanzitutto e soprattutto, a tener vivo il contrasto popolo/poteri forti.
Altra loro risorsa comunicativa è un’abilità speciale a volgere i significati di ogni evento a proprio vantaggio, vuoi ridefinendo la realtà vuoi presentando come una vittoria, un compromesso. Conta poco se tutto ciò costa talora il sacrificio della coerenza. La contraddizione in cui sono incappati viene messa sul conto degli avversari che avrebbero inquinato a tal punto la situazione da impedire un suo vero cambiamento. L’Ilva di Taranto riapre, invece di essere trasformata, come voleva Grillo, in un parco acquatico? È «l’accordo migliore possibile nelle peggiori condizioni». Genova si ritrova, non si sa per quanto, divisa a metà per il crollo del ponte Morandi? Colpa dei partiti che hanno firmato la concessione ad Autostrade per l’Italia in cambio dei «soldi presi dai Benetton». Cresce la spesa per interessi sul debito pubblico? Tutto dipende dal fatto che «l’establishment non ci voleva». Reddito di cittadinanza e flat tax saranno in larga parte sacrificati nella legge di bilancio? C’è da scommettere che la responsabilità non sarà dei suoi estensori, ossia di aver fatto prima i conti senza l’oste con promesse difficilmente sostenibili, ma degli euro-burocrati di Bruxelles che sacrificano gli italiani sull’altare dell’austerità. Sarebbe già pronto lo slogan anti-Ue caro ai populisti da agitare in vista del voto di primavera per il Parlamento europeo.
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