Quel ponte e la fragilità
del vivere in Lombardia

La verità è che siamo tutti tremendamente fragili. Connessi, all’apparenza veloci, capaci di muovere e muoverci, ma basta un inconveniente, un incidente, il semplice passare del tempo, per scoprire la nostra vulnerabilità. A fine gennaio la tragedia di Pioltello ha messo in ginocchio per settimane la mobilità di migliaia di pendolari del quadrante Est: da venerdì, fortunatamente senza vittime, la situazione si è riproposta sul lato opposto. E sarà così per i prossimi due anni, fino a quando il ponte sull’Adda non verrà rimesso a nuovo. Nel giro di 8 mesi Bergamo ha rischiato due volte l’isolamento ferroviario con Milano.

Migliaia di pendolari che hanno dovuto reinventarsi percorsi, connessioni, relazioni: in sostanza rivedere tempi e modi di una vita già difficile di suo. Lungi da noi il voler dare colpe a destra e manca, ma è di tutta evidenza che una regione che si vanta (a ragione) di essere la locomotiva del Paese non possa rallentare di fronte a situazioni del genere. Il ponte San Michele va per i 130 anni, la sua manutenzione era prevista per i prossimi mesi: dal punto di vista architettonico è una struttura bellissima e affascinante come pochi, da quello pratico la sua età la dimostrava tutta. I suoi scricchiolii al passaggio del treno (a 15 all’ora) sono ormai entrati a far parte dell’immaginario collettivo, ma un conto è il sentimento popolare, un altro il dato tecnico. «La verità è che in questi anni in altre parti d’Europa quel tipo di ponti li hanno sistemati: loro hanno fatto manutenzione, noi ci siamo limitati a passare mani di vernice» commentava qualcuno dalle parti di Rfi nelle concitate ore della chiusura. Ed è l’immagine forse più onesta della situazione del ponte e delle ferrovie lombarde in generale.

Resta il fatto che la zona dell’Isola e della Brianza sono di fatto isolate e lo saranno per i prossimi due anni. Che una significativa fetta dei pendolari della Bergamasca si sono visti costretti a riconsiderare tempi e modi della propria quotidianità, con tempi di viaggio che rischiano di raddoppiare. E se in una giornata di 24 ore, 8 sono dedicate al lavoro e quelle per lo spostamento passano da 2 a 4, è chiaro che la situazione è semplicemente grave. Si potrà parlare di fatalità o eventi non prevedibili, ma definizioni del genere perdono di valore davanti a migliaia di persone che ogni giorno non si spostano per diletto, ma per lavoro: quindi per procurare il necessario per far vivere le proprie famiglie.Per questo eventi come Pioltello prima e il ponte ora devono suonare come forti campanelli d’allarme: perché non basta gonfiarsi il petto con i dati (sicuramente positivi) di un’economia lombarda che compete euro su euro con le grandi regioni europee, bisogna avere ben presente la fragilità (infra)strutturale sulla quale questo sistema poggia.

Da qui ai prossimi due anni, ogni pendolare bergamasco dovrà semplicemente incrociare le dita e sperare che sulla linea per Pioltello non si verifichi alcun inconveniente simile a quelli che ci sono stati nei mesi scorsi, al di là della tragedia di fine gennaio che chiede ancora giustizia per tre vittime innocenti. Basterà una caduta della linea, un problema ai binari, un treno che si inchioda sul posto per isolare Bergamo da Milano. La chiusura del ponte di Paderno ci ha sbattuto in faccia la realtà di un sistema debole, superato dagli anni, che finora è andato avanti incrociando le dita. Ma ora la situazione è sotto gli occhi di tutti, quella di una fragilità quasi endemica, frutto degli anni, dei mancati investimenti, di scelte prevalentemente a favore di strade e autostrade piuttosto che delle ferrovie. Tutto quello che volete, ma è arrivato il momento di aprire gli occhi e (ri)partire dai punti deboli. Solo così si può crescere davvero e tutti insieme.

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