Quel che Mattarella
saprà garantire

Tra i tanti commenti che hanno fatto seguito all’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, mi ha colpito in particolare Leoluca Orlando, per il quale «Mattarella è la risposta ai tre mali della politica di oggi: l’eccesso di leaderismo, la mortificazione del Parlamento e l’attacco ai corpi intermedi». In questa frase trovo bene sintetizzati punti qualificanti di una tradizione politica che, nel nostro Paese, ha svolto, in alcuni passaggi cruciali, un ruolo fondamentale e che, ciò nondimeno, è oggetto frequentemente di critica, quando non addirittura di scherno.

Mi riferisco al «cattolicesimo democratico», di cui Mattarella è esponente, forse uno degli ultimi ad avere un rilievo di spicco nell’attuale classe politica. Si tratta di una tradizione importante, ma minoritaria anche nel mondo cattolico e, nella storia politica del nostro Paese, riguardata spesso con sospetto. Screditati o irrisi come «cattocomunisti», i cattolico-democratici sono accusati di cedimenti secolaristici dai cattolici identitari perché, fedeli alla laicità della politica e al conseguente metodo della mediazione, rompevano il fronte di chi voleva i credenti intruppati dentro un unico partito, a disposizione della gerarchia ecclesiastica; e, d’altra parte, accolti con freddezza da molti esponenti della sinistra ortodossa, sia perché pur sempre cattolici, sia perché irriducibili alla logica dei diritti individuali che certa sinistra di marca radicale o libertaria esalta a discapito delle ragioni della socialità.

Questo destino di incomprensione e di sostanziale isolamento, dentro il mondo cattolico e l’area della sinistra, ha riguardato nella storia, talora con conseguenze gravi o tragiche, Dossetti, Zaccagnini, Moro e, più recentemente, una figura come Rosi Bindi. Eppure il contributo reso da questa tradizione politica al Paese è stato grande: anzi tutto nella stesura della Costituzione, per la quale i cattolico-democratici hanno intessuto un dialogo profondo con le forze partitiche di ispirazione marxista e liberale, consentendo che i principi costituzionali esprimessero una mediazione di alto livello etico-antropologico. Non ci sfugge, naturalmente, che l’elezione alla presidenza della Repubblica di Mattarella non equivale a una esplicita riabilitazione di questo orientamento politico-culturale. È eletta una persona, non una tradizione politica.

E tuttavia l’appartenenza del neo presidente a questa storia rimane un dato significativo, sia per interpretare quanto è successo, sia per avanzare qualche, pur difficile e prudente, previsione sul ruolo che Mattarella potrà esercitare. Anzi tutto, credo che una figura con questa storia (politica, ma anche personale) potesse essere eletta presidente solo al prezzo di una rottura del Patto del Nazareno. L’esito è infatti lontano dallo «spirito» e dal contenuto di quel patto, sia per il profilo politico-culturale di Mattarella (un cattolico orientato a sinistra), sia per il tipo di mediazioni che l’elezione del capo dello Stato rende possibili, irriducibili alla logica spartitoria e agli «aiutini» che Berlusconi presumibilmente si attendeva dall’alleanza con Renzi. Circa l’interpretazione del ruolo, può trovare alimento nella storia del presidente Mattarella (suo padre Bernardo è stato membro dell’Assemblea costituente) la speranza di una lealtà consapevole alla Costituzione, entro cui riposa la garanzia migliore di revisioni assennate, non asservite cioè a un diffusissimo, anche in materia costituzionale, riformismo fine a se stesso. Il radicamento del neo presidente nel milieu culturale del cattolicesimo sociale costituisce poi un antidoto rispetto a un decisionismo che sia frutto di un verticismo autistico, che è espressione di disegni auto-promozionali della classe politica del tutto disattenti alla consistenza delle storie e del tessuto della società.

Se dunque il temperamento dell’uomo, schivo e riservato, non lascia presagire quegli slanci affettivi, quasi paterni, che resero tanto amata la presidenza Pertini, la cultura politica di Mattarella offre garanzie sostanziali di rispetto e promozione della autonomia della società e dei corpi intermedi, nonché di cura privilegiata per le componenti più fragili del popolo, cui non a caso egli ha rivolto l’attenzione nelle prime dichiarazioni da neo eletto. Circa lo stile, è lecito attendersi, per ragioni temperamentali e di cultura politica, una presenza equilibrata, non incline a prevaricare rispetto al ruolo di garanzia che la Costituzione ritaglia per il presidente della Repubblica, ma – speriamo – sufficientemente energica per arginare le non infrequenti infedeltà costituzionali che le forze partitiche perpetrano nel nostro Paese, che non possono essere contrastate da strappi istituzionali da parte del presidente, ma soprattutto da una rigorosa vigilanza, diremmo, preventiva e da un’opera di persuasione morale.

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