L'Editoriale
Giovedì 02 Aprile 2015
Quegli enti inutili
così utili al potere
L’eliminazione degli enti inutili, alcuni dei quali risalenti a fine Ottocento e ai primi decenni del Novecento, è stata annunciata da quasi tutti i governi da sessant’anni ad oggi. La prima legge per eliminarli risale al 1956. Il compito fu affidato ad un apposito ente che finì con l’aggiungersi a quelli da eliminare.
Negli anni successivi si moltiplicarono vari tentativi, tutti senza alcun risultato. Dopo l’introduzione dell’euro, sotto la pressione degli organismi europei per il contenimento del nostro enorme debito pubblico, si è assistito all’emanazione di apposite leggi (2002-2008-2009-2010). I risultati, tuttavia, sono stati del tutto insignificanti.
Emblematico quanto accaduto con il ministro della Semplificazione Calderoli, che il 28 ottobre 2009, ospite a «Otto e mezzo», annunciò a milioni di spettatori: «A fine mese succederà una cosa che non è mai successa in Italia. Cadrà la ghigliottina sugli enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliato le spese». Questa dichiarazione seguiva quella rilasciata qualche mese prima al Giornale: «Scompariranno circa 34 mila enti inutili, che bruciano risorse solo per sopravvivere, tutti con i loro presidenti e consigli di amministrazione».
Da notare che da quella data ad oggi si calcolano in solo 49 gli enti cessati. Il governo Monti nel 2011 indicò circa 500 enti inutili tra i più costosi da eliminare, visto che la spesa per il loro mantenimento fu stabilita intorno ai 10 miliardi l’anno. Tra questi alcuni residuati dell’epoca sabauda e fascista, come l’Opera nazionale combattenti (1917), i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, i numerosi Enti parco regionali e Consorzi di bonifica, nonché gli oltre 600 enti strumentali delle Regioni, sparsi in tutta Italia. Anche in questo caso i risultati furono irrilevanti.
Nella primavera dello scorso anno, prima delle elezioni europee, Matteo Renzi, nella lettera in cui annunciava la riforma della pubblica amministrazione, indicò anche, tra gli obiettivi principali del governo, un censimento di tutti gli enti inutili – di cui nessuno, ad oggi, conosce l’esatta consistenza – per poi procedere ad una vera e propria guerra nei loro confronti. La procedura prescelta è opportuna, sempre che i tempi non saranno molto lunghi. Solo portando a conoscenza dell’opinione pubblica questo complesso ed intricato mondo di interessi nascosti, si potranno creare i presupposti per una iniziativa parlamentare organica ed efficace.
Nella stessa direzione è stato orientato il piano di tagli e accorpamenti delle istituzioni pubbliche, accompagnato dallo slogan «Sforbicia Italia». Si tratta di una strategia molto ampia e significativa di interventi, per ora solo annunciati, tra i quali: riduzione delle Prefetture da 106 a 40; trasformazione dell’Enit con la soppressione di gran parte delle 23 agenzie provinciali; taglio sostanziale delle sedi periferiche dell’Istat e della Ragioneria dello Stato; accorpamento tra Aci, Pra e Motorizzazione civile; riduzione dei 20 centri di ricerca a pochissimi centri di eccellenza; riorganizzazione e riduzione delle attuali sette Autority indipendenti, con il trasferimento dei compiti di alcune di esse a organi dello Stato o alla Banca d’Italia.
Da rilevare che i compiti di quest’ultima si sono di molto ridotti negli ultimi tempi a vantaggio della Bce. Non a caso, per sua decisione autonoma, è stato avviato un programma di riduzione delle sedi provinciali, che dalle iniziali 106 sono passate a circa 60 e scenderanno a 40 entro il 2017.
È evidente che Matteo Renzi troverà non pochi ostacoli in questa annunciata azione di dimagrimento dell’apparato pubblico, per i consueti distinguo della minoranza interna al suo partito e per alcuni contrasti già palesatisi all’interno del governo. Non meno complessa si preannuncia la guerra dichiarata agli enti inutili, una volta disponibili i dati del non certo agevole censimento. Il meccanismo con il quale anche i più antiquati di questi organismi sono riusciti a sopravvivere, ha presentato in passato non poche variabili, che hanno consentito ad una «certa burocrazia» di avere spesso buon gioco.
In alcuni casi, enti decretati inutili sono stati rianimati attraverso emendamenti parlamentari. In altri casi la procedura per la cancellazione è stata tramutata in riorganizzazione. In altri casi, ancora, è stata cambiata la denominazione dell’ente modificando lo statuto e individuando altre finalità che non sono state successivamente perseguite. Infine, quando tutte le iniziative di contrasto non hanno trovato adeguato sbocco, si è passati al ricorso al Tar per la sospensiva del provvedimento e, successivamente, ai tempi lunghi del Consiglio di Stato per il giudizio nel merito.
Come si può ben comprendere, passare dalle dichiarazioni di intenti alla realizzazione degli stessi non sarà agevole per Renzi. È altrettanto evidente, però, che proprio su questo aspetto è in gioco non solo la sua credibilità ma la stessa prosecuzione dell’azione di governo.
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