Quando il teorema
offusca la giustizia

Le polemiche si sono sopite, ma le ferite restano aperte. La sentenza della Cassazione che ha assolto definitivamente Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher offre lo spunto per fare memoria di alcuni fatti recenti della giustizia italiana.

A partire dalle parole di Claudio Pratillo Hellmann: nel 2011 presiedeva la Corte d’appello di Perugia che assolse Amanda e Raffaele. In un’intervista a «la Repubblica» il magistrato ha raccontato che quella sentenza si basava su alcune evidenze: la lacunosità dell’indagine, l’esito delle perizie che non erano state fatte durante il processo di primo grado e che certificarono la contaminazione delle prove scientifiche, il coltello sequestrato a casa Sollecito che non era l’arma del delitto.

I due giovani furono assolti perché il dibattimento aveva dimostrato che non c’erano prove della loro partecipazione al delitto. Hellmann lasciò la magistratura pochi mesi dopo il verdetto. In quel tempo subì l’ostilità di una parte dei cittadini di Perugia e dei suoi colleghi: «Mi resi conto che quella della mia Corte era stata una voce fuori dal coro in un tribunale dove tutti i giudici, a partire dal gup per arrivare a quelli dei diversi Riesami, pur criticando l’inchiesta, avevano avallato l’accusa».

Eppure la Corte «aveva cercato - ricorda il magistrato - di capire davvero chi avesse ucciso Meredith, senza lasciarsi intrappolare dai pregiudizi o da tesi precostituite». La libertà della giustizia non è solo quella, tanto invocata, dai condizionamenti dei poteri politici o economici, ma anche appunto da pregiudizi, tesi precostituite, umori dell’opinione pubblica e conseguenti pressioni mediatiche, ansie da risultato che indirizzano indagini e sentenze sulla strada sbagliata.

Noto è il caso Tortora, ma non è il solo. Per capire cosa capita a chi finisce nelle grinfie di questa deriva, bisognerebbe leggere il recente libro «Io non avevo l’avvocato»: lo ha scritto Mario Rossetti, ex manager di Fastweb finito nell’inchiesta che ha coinvolto anche il fondatore del colosso delle fibre ottiche, Sergio Scaglia. L’accusa per i due era associazione a delinquere finalizzata a una colossale frode fiscale. Secondo la formula in voga tra i corifei delle inchieste a teorema infatti «non potevano non sapere».

E invece non sapevano: non conoscevano le persone che avrebbero creato l’associazione a delinquere. Sono stati assolti in primo grado con formula piena, a fine 2013. Nel frattempo, e in attesa dell’appello, si sono dimessi e hanno passato un anno agli arresti, fra carcere e domiciliari. Rossetti fu arrestato dalla Finanza, all’alba di fronte allo sconcerto della moglie e dei figli di 10, 9 e 2 anni. Di mattina presto, nel 2008, fu arrestato (ai domiciliari) anche Giovanni Novi, al tempo presidente dell’Autorità portuale di Imperia. La Finanza suonò al suo citofono annunciando la notifica di un provvedimento: per due volte invitati a salire, i militari dissero che attendevano una persona. Erano i fotografi e gli operatori tv. Novi era accusato di concussione, truffa, falso e abuso nell’ambito di un’inchiesta sull’attribuzione di un terminale del porto, sulla base della testimonianza di una persona che poi risulterà aver detto il falso. Dopo tre gradi di giudizio, l’ex manager nel 2014 è stato assolto dalla Cassazione con tanto di scuse. Sono stati assolti anche gli altri 8 coimputati: uno è morto prima di essere riabilitato.

È invece ancora in corso il processo a Filippo Penati. Nell’ultima udienza, a gennaio, l’architetto Renato Sarno, considerato dagli inquirenti il collettore delle tangenti per l’ex presidente della Provincia di Milano, ha ritrattato tutto dicendo che «quando sono stato arrestato ho subìto pressioni di tutti i tipi, se non avessi detto quello che voleva la Procura di Milano non sarei uscito». Accuse gravi, cadute nel silenzio di chi è stato chiamato in causa e dei giornali nazionali che avrebbero potuto approfondire e dare un seguito alla vicenda.

Che conclusioni trarre da questi fatti di cronaca recenti? Non certo una delegittimazione della magistratura, onorata dal lavoro di toghe serie e competenti. Non entriamo nel merito di riforme come quella sulla responsabilità civile. Ma c’è una responsabilità umana che non dovrebbe avere bisogno di essere normata: prudenza, libertà da pregiudizi e ideologie sono qualità necessarie per chi giudica le vite degli altri. La carcerazione non è strumento d’indagine: è solo un caso in Italia l’abuso di quella preventiva (il 40% dei detenuti sono in attesa di giudizio, quindi ancora presunti innocenti)? L’assoluzione completa, quando arriva, non riabilita del tutto gli (ex) imputati, non li riporta alla vita di prima e lascia comunque una macchia nelle loro biografie e sull’onorabilità, oltre a danni psicologici ed economici. Non si può non saperlo.

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