Progettare insieme
e rinnovare

Prendiamo atto delle buone volontà. Alla sua prima assemblea pubblica, ieri a Zogno, in uno dei capannoni dell’ex Manifattura di Valle Brembana restituiti al futuro grazie alla Cms, il presidente di Confindustria Bergamo, Stefano Scaglia, ha lanciato segnali di distensione verso Imprese & Territorio perché «si continui a discutere e a progettare insieme». Dal canto suo, il comitato che riunisce le associazioni delle piccole imprese, dal commercio all’artigianato passando per l’agricoltura, non ha scelto l’Aventino, come pure ci si sarebbe potuti aspettare a pochi giorni dalle ultime scaramucce sui centri per l’innovazione, e si è puntualmente presentato in sala con vari esponenti. Alla luce di queste reciproche mani tese, restano ancora più incomprensibili le frizioni che venerdì, nel volgere di poche ore, hanno fatto passare dalla convocazione di una conferenza stampa congiunta a una piccola «battaglia» di comunicati stampa sull’Hub dell’innovazione, prima dell’uno e poi dell’altro schieramento. Ma voltiamo pagina.

Prendiamo come valido per tutti il richiamo alla «responsabilità» di continuare a lavorare insieme per lo sviluppo del territorio, costruendo (o ricostruendo) quella «consuetudine e fiducia reciproca nell’elaborazione di progettualità condivise» che lo stesso Scaglia ha riconosciuto come mancanti. Di certo, in mezzo a tante parole, sgambetti e ripicche che speriamo archiviati, resta abissale la distanza con la salutare immersione nel concreto possibile che Andrea Pontremoli ha regalato al migliaio di persone presenti in assemblea. Amministratore delegato della Dallara Automobili di Fornovo di Taro, nell’Appennino parmense, un passato in Ibm Italia costruito per 27 anni dall’esperienza sul campo come manutentore di pc fino al vertice, Pontremoli ha raccontato delle aziende della «motor valley» emiliana fatte sedere attorno a un tavolo a dispetto delle reciproche rivalità e dei progetti messi in campo insieme alle Università della regione in tempi più che rapidi per costruire le professioni di domani.

Di sicuro a Bergamo non siamo all’anno zero, ma l’augurio è che nei giorni a venire si senta parlare sempre più di cose simili: progetti concreti e passi mirati. Non conta che siano piccoli o grandi. L’importante è che mettano tasselli utili a costruire e accompagnare qui nella nostra provincia le imprese e il lavoro nelle trasformazioni e nelle sfide dell’economia 4.0, come si usa dire.

Ecco, il lavoro. Nessuna paura verso il nuovo. Nessuna preclusione verso questa quarta rivoluzione industriale, ci mancherebbe, non fosse altro perché la storia ci insegna che comunque accadrà, che lo vogliamo o no. Il come, però, dipenderà anche da noi e i rischi non vanno sottovalutati. Si parla di diseguaglianze e di «disoccupazione tecnologica». Le previsioni sulle professioni messe a rischio dal progresso digitale oscillano da un ottimistico 10% a punte del 30-40%, già più preoccupanti, in base ai contesti considerati. Da una parte, dunque, l’automazione dei processi produttivi, ma anche di servizi fino a ieri impensabili senza l’apporto umano, consentirà di sottrarre energie a lavori magari logoranti e ripetitivi. Dall’altra, però, cancellerà altri posti di lavoro. Vero è che ne creerà di nuovi, ma il travaso dall’uno all’altro insieme non sarà affatto automatico e questo gap esigerà risposte politiche adeguate. Per inciso: è interessante, al riguardo, il modello danese cui si è fatto cenno ieri di una formazione per adulti finanziata con risorse pubbliche in base ai risultati raggiunti.

Certo, l’idea di un’intelligenza artificiale capace di raccogliere l’esperienza di migliaia di medici e restituirla a giovani dottori alle prime armi nelle corsie di un pronto soccorso è suggestiva e apre scenari inimmaginabili fino a poco tempo fa. Così come in fabbrica sembra incredibile poter insegnare a un robot i gesti da compiere con l’esperienza, cioè mostrandogli cosa deve fare, anziché programmandolo con una serie di comandi scritti. C’è del fascino in queste prospettive, oltre che una speranza perché la qualità della vita e il benessere possano crescere per un numero di persone sempre maggiore, andando a coprire le falle delle diseguaglianze. Per non perdere tuttavia la sana abitudine al dubbio che ci mette al riparo dalle troppe certezze, muovendoci tra tecnica e umanità, dopo gli spunti raccolti ieri, ci sono due domande, o provocazioni, che restano sullo sfondo.

Siamo proprio sicuri che dovremo smettere di realizzare i «muretti a secco»? Un paio di mesi fa, fra l’altro, un corso su quest’arte ha fatto il pieno in quel di Corna Imagna. Dettaglio a parte, che si potrebbe catalogare come una semplice curiosità locale, in mezzo a tanta tecnologia sarà comunque utile non perdere per strada il saper fare artigiano che pure ci ha sempre contraddistinti e che resta un valore. E, secondo interrogativo, siamo proprio sicuri che sarà bello avere in casa una sorta di Mary Poppins umanoide? Per carità, prendiamo tutto ciò che ci servirà dei robot. Ma continuiamo a preparare noi colazione e vestiti la mattina insieme ai nostri figli.

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