Politica e inchieste
Non è tutto uguale

Nel marzo scorso la vicenda aprì per alcuni giorni le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali nazionali. Le conclusioni invece non hanno trovato altrettanto risalto, relegate negli spazi dedicati alle notizie minori o addirittura ignorate. Martedì scorso la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione delle accuse che avevano lambito Federica Guidi, inducendola a dimettersi da ministro dello Sviluppo economico, nell’ambito di un’indagine originaria della procura di Potenza: l’allora fidanzato della Guidi, Gianluca Gemelli, aveva interessi commerciali nel progetto per la costruzione dell’impianto petrolifero di Tempa Rossa, in Basilicata, bloccati in seguito alle proteste di Comuni e associazioni per il rischio di inquinamento ambientale; nella legge di stabilità del 2015, redatta dal governo Renzi, fu inserito un maxiemendamento che aggiungeva le opere come l’impianto di Tempa Rossa fra quelle la cui approvazione competeva all’esecutivo - precisamente allo stesso ministero dello Sviluppo economico – e non agli enti locali, facilitando così lo sblocco dei lavori. In un’intercettazione del novembre 2014, Guidi era stata ascoltata mentre rassicurava Gemelli sul fatto che l’emendamento - bocciato in precedenza - sarebbe stato discusso nuovamente al Senato: si dimise in seguito alla pubblicazione delle intercettazioni sui giornali.

La richiesta d’archiviazione riguarda Gemelli, iscritto nel registro degli indagati a Potenza per reato di traffico di influenze. Il ministro invece non è mai stata indagata. Nella richiesta il pm Roberto Felici scrive che Gemelli «si presenta come soggetto alquanto intraprendente alla ricerca, quale titolare di società di ingegneria, di affari e commesse nel settore petrolifero. Deriva la propria autorevolezza dal fatto di essere notoriamente il compagno del ministro Guidi, condizione che egli spende con una certa spregiudicatezza anche millantando, in modo più o meno esplicito, la possibilità di trarre vantaggio da tale sua condizione». Ma «aldilà di tali censurabili atteggiamenti non emerge che egli abbia mai richiesto compensi per interagire con esponenti dell’allora compagine governativa».

La giustizia fa il suo corso e c’è un giudice a Roma: ma sarebbe irresponsabile archiviare (non solo giudiziariamente) così la vicenda, che ebbe ricadute pesanti non solo sul governo, ma anche nell’opinione pubblica, alimentando se ce ne fosse bisogno il diffuso e radicato giudizio della «Casta di ladri».

Eppure l’inchiesta di Potenza a un’analisi non emotiva risultava fragile in ciò che dovrebbe essere il cuore di ogni indagine: la notizia di reato. Accade spesso quando le intercettazioni sono il cardine delle indagini e non, come dovrebbero essere, il supporto ad altre tracce di contravvenzione dei codici. Le intercettazioni di Gemelli e di Guidi profilavano un possibile conflitto d’interessi «familiare». In un passaggio telefonico il ministro poi si sfogava col compagno («non mi puoi trattare come una sguattera del Guatemala»: frase che suscitò altre polemiche perché contrassegnata da classismo), evidentemente consapevole di essere da lui usata. Ma compito della magistratura è perseguire il malaffare (i reati appunto) e non il malcostume: compito gravoso al quale dedicare tutte le energie senza disperderle in ambiti non attinenti ai tribunali.

Questa vicenda però chiama in causa anche la responsabilità dei grandi media che formano l’opinione pubblica. Giustamente si dice che il giornalismo è il cane da guardia del potere. Secondo la Costituzione italiana i tre poteri fondamentali dello Stato sono il legislativo (Parlamento), l’esecutivo (governo) e il giudiziario (la magistratura). Non è quindi eversivo attendersi che quei media vigilino anche sul potere esercitato dalle toghe, soppesando e giudicando le inchieste, evitando così di ridursi a «cronisti del dato di fatto» . Decrittando i fatti dai sospetti, dando proporzioni diverse a contestazioni diverse. È una grande e bella responsabilità, in questa epoca di qualunquismo galoppante e di ripiego.

Nel testo della canzone «La storia», il cantautore Francesco De Gregori ha scritto: «E poi ti dicono “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”. Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera». I grandi rischi dai quali dobbiamo guardarci sono il nichilismo, le mistificazioni del credere che le cose non possano cambiare, che la vita civile e pubblica sia sotto il giogo generalizzato di ruberie, che l’impegno sociale e politico risponda solo a interessi personali. Non è così, c’è di più e di meglio. Quell’impegno non è immune da errori, inciampi, intrecci anche insidiosi e malcostume. Da limiti connaturati alla fragilità della natura umana. Vigilare e, quando è il caso, sanzionare, è un dovere, ma senza perdere di vista la realtà e le sue distinzioni. Per giustizia e per evitare la rassegnazione del «chiudersi in casa quando viene la sera».

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