L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 23 Dicembre 2016
Più qualità per rispettare
ogni lavoratore
Anche gli operai metalmeccanici hanno avuto in questi giorni l’ occasione di dire no, e lo hanno fatto in luoghi simbolo come Tenaris e Same, un po’ più sorprendentemente a Dalmine, dove però ha votato meno del 50%, mentre Treviglio, si sa, è terra difficile per le grandi sigle sindacali. Non ci permetteremo di dare giudizi di valore sui voti dei singoli lavoratori, salvo osservare che proprio questi importanti no indicano che il contratto metalmeccanici 2016/2019 non è stato banale ma davvero di importanza epocale.
È anzi un forte motivo di riflessione per tutto il sistema del lavoro, creando un prima e un dopo che non sarà più possibile ignorare. Non dimentichiamo innanzitutto che nell’ arco di tempo di due contratti, il mondo meccanico ha perso 280 mila posti di lavoro e il 26% della produzione. Forse anche per questo, si è trattato non tanto di un nuovo contratto quanto di un contratto nuovo. Talmente nuovo che Federmeccanica, il sindacato delle imprese, è stata da subito molto provocatoria, affermando che sarebbe stato un contratto senza parte salariale. Quasi un ossimoro: che contratto di lavoro può mai essere quello che non prevede un aumento di stipendio?
Il bello è che alla fine - mirabile risultato dei professionisti della contrattazione - possono stare insieme due realtà apparentemente inconciliabili: il fatto che Federmeccanica ha avuto ragione nella sua intransigenza e che i lavoratori hanno ottenuto un aumento di 92 euro lordi, più 80 euro di una tantum. Il paradosso, 80 euro a parte (ormai è diventata una cifra mitica), si spiega andando a vedere la composizione di quei 92 euro. Poco più della metà sarà recupero dell’ inflazione, ma attenzione: pagata solo dopo che questa si è manifestata, non prima, in base a indici programmati rivelatisi talmente astratti che Federmeccanica ha fatto presente di aver versato negli anni scorsi 73 euro più di quanto effettivamente dipendente dall’ inflazione reale.
Il dato qualificante dell’ intero contratto - di cui va dato merito alle parti, tra cui la Fiom, tornata ad essere unitaria nella firma - sta nella quota restante che arriva a quei 92 euro stimati. Si tratta infatti non di salario ma di welfare, cioè buoni spesa, a carico delle imprese e da decidere caso per caso, che i lavoratori potranno utilizzare per accedere agli asili nido, per comprare libri scolastici ai figli, per dar vita ad un fondo integrativo delle spese sanitarie e previdenziali, per avere gratuitamente ulteriori 24 ore di formazione e scalare meglio le sfide dell’ industria 4.0. Il fondo sanitario, per esempio, verrà incrementato a spese delle aziende di 156 euro a dipendente per anno (con accesso anche ai lavoratori a termine e in mobilità) e avrà la forza derivante da una massa critica moltiplicata rispetto a quella attuale.
Si apprezza ancor più la differenza, che abbiamo definito epocale, se si riflette sul fatto che lo stesso Bentivogli della Fim-Cisl ha ricordato che se l’ azienda ti dà 100 euro lordi nel contratto nazionale, a te ne arrivano 58, se il contratto è aziendale, te ne arrivano 85, se usi i nuovi benefici del welfare ti arrivano tutti i 100. Qualità, insomma, che vale più della quantità. Ciò significa anche capire i tempi nuovi, e non spaventare gli investitori stranieri, mentre diventa retrò la lettura che fa un Giorgio Cremaschi quando parla di controriforma e, naturalmente, di favori fatti ad assicurazioni e banche. A questo contratto ha messo convintamente la sua firma anche Maurizio Landini, che rovesciando la polemica di Cremaschi, ha ricordato che questo welfare contrattuale è integrativo e non sostitutivo, e potrà addirittura aiutare il sistema pubblico. I principi in gioco sono dunque molto innovativi, un passo avanti nel dibattito sulla nuova contrattazione sociale e sul ruolo stesso del sindacato da un lato e di Confindustria dall’ altro (entrambi ne hanno bisogno).
Secondo una visione liberale si potrebbe obiettare che tutto ciò che è sottratto alla libera scelta del singolo comporta rischi dirigistici, ma qui c’ è una flessibilità che verrà discussa e realizzata soprattutto a livello di singola azienda, garantendo un ruolo anche al singolo lavoratore. C’ è un rispetto dell’ individualità operaia, come ha ricordato su queste colonne Savino Pezzotta, che era sconosciuta, aggiungiamo noi, alle gabbie rigide dei contratti classici. Siamo nell’ era dell’ operaio aumentato, quello del 4.0, di cui parla Bombassei. Sarebbe un sindacato diminuito quello che non tenesse conto di questo nuovo protagonismo dell’ economia industriale moderna, che il tailorismo lo ha trasferito completamente alle macchine e ai robot, restituendo all’ uomo dell’ industria la sua personalità.
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