L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 28 Agosto 2018
Pil, l’Italia arretra
Economia scomparsa
Cambiano in modo radicale i governi, ma il problema dell’Italia resta lo stesso: non cresce. Se possibile questa volta il numero è ancora peggiore; secondo i dati resi noti dall’Ocse ieri, nel secondo trimestre dell’anno l’Italia è stato l’unico Paese del G7 a non crescere rispetto al mese precedente, ma è peggiorata. Mentre il resto del mondo raccoglie gli scampoli di una ripresina che stenta anche a livello globale, noi invece che aggrapparci con tutte le forze al rilancio arretriamo. Questo seppure in uno scenario che, dal punto di vista politico, ha cambiato totalmente di segno.
Si pensava che almeno inizialmente questa totale innovazione avrebbe ispirato fiducia, nei consumatori e nelle imprese, sulla base almeno delle buone intenzioni. Invece nulla. I motivi sono molteplici. Dal punto di vista sia politico che economico il nostro Paese appare più fragile e incerto di quanto non fosse prima. I messaggi che la nuova classe dirigente ha finora fatto passare sono tutti negativi: no Europa, no euro, no agli investimenti delle grandi opere, no agli incentivi all’occupazione… E si potrebbe continuare all’infinito senza trovare un tema forte sul quale immaginare di poter costruire in positivo. Basta guardare ai temi forti sui quali si è fissata la concentrazione dei leader di governo. Il tema che va per la maggiore e del quale non passa giorno senza che se ne parli è quello dell’immigrazione. Eppure non è il problema principale del Paese. Secondo i dati disponibili già prima del voto di marzo si era registrato un crollo di immigrati rispetto agli anni precedenti e la curva discendente è proseguita anche dopo.
Il secondo tema al centro del dibattito politico sollecitato dagli uomini di governo è quello della sicurezza. Anche qui in presenza di dati che ridimensionano la questione visto che gran parte dei reati contro la persona e contro la proprietà sono in regresso. Pare invece scomparso il tema dell’economia e del rilancio. Nei primi tre mesi di governo (escludendo i quasi tre mesi passati in lunghi tira e molla per formarlo pur in presenza di una maggioranza solida) non ci sono stati provvedimenti degni di questo nome, malgrado sia usanza di ogni nuovo governo partire con decreti forti e ad effetto. L’unico partorito dal governo ed approvato dal Parlamento ai primi di agosto è stato il cosiddetto decreto Dignità che ha per oggetto principale la stabilizzazione dei contratti di lavoro. Il provvedimento è fortemente contestato dagli imprenditori, ad iniziare dalle critiche del presidente di Confindustria Boccia reiterate anche negli ultimi giorni, e non ha trovato neppure il consenso di quella parte del sindacato, in particolare la Cgil, alla quale strizzava l’occhio. Proprio la Cgil ha denunciato gli aspetti negativi del decreto sull’occupazione, limitandone di molto i giudizi positivi sulla stabilizzazione del lavoro. E questo è il parere dell’organizzazione più vicina al provvedimento.
Cos’altro? Nulla. A meno che non vogliamo considerare anche i disastri che stanno causando le polemiche successive al tragico crollo del viadotto Morandi dell’autostrada di Genova. In questo caso spostare il dibattito dalla necessaria ricostruzione e dagli interventi infrastrutturali alla natura della convenzione (tema sul quale serve certamente una profonda riflessione, ma certo non in questo momento nel quale Autostrade per l’Italia è chiamata a ingenti e solleciti investimenti e non può essere invece aiutata a rifugiarsi in lunghi contenziosi legali) è stato l’ennesimo errore del governo nel quale si sta perseverando. Si tratta di un quadro generale che non favorisce certo la fiducia dei consumatori e degli investitori, primo motore di un barlume di ripresa economica. Intanto incombe la Finanziaria, ma i suoi pilastri sembrano per ora più fragili di quelli del viadotto Morandi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA