L'Editoriale
Lunedì 29 Dicembre 2014
Petrolio e Befana
Sceicchi e bollette
Il calo del prezzo del petrolio sembra essere uno dei pochi regali che Santa Claus ci ha fatto trovare sotto l’albero di Natale. Negli ultimi sei mesi, le quotazioni sono scese di quasi il 50 per cento, da circa 113 a 60 dollari al barile. Non un calo da poco. Siamo però sicuri che si tratti di un bel regalo per le economie mondiali?
La risposta è sì, seppure con alcune sfaccettature, le quali dipendono dalle ragioni del crollo del prezzo del petrolio e da quanto dureranno le attuali quotazioni. Come recitano i manuali di economia, la discesa del prezzo al barile è il risultato di un eccesso di offerta rispetto alla domanda.
Quest’ultima è stata certamente influenzata dalla congiuntura economica: la debolezza (o la minor crescita) di economie quali l’eurozona, la Cina o l’India ha certamente diminuito la domanda di petrolio.
Dal lato dell’offerta, questa è notevolmente cresciuta a causa dei produttori non-Opec, soprattutto grazie al boom del cosiddetto shale-gas, il gas naturale estratto dalle rocce argillose, che ha portato la produzione da parte dei Paesi non-Opec a superare il 50% di quella mondiale. Principale beneficiario di tale espansione sono stati gli Stati Uniti (ed in misura minore il Canada) diventati oggi un esportatore netto di petrolio. In tali condizioni la difesa del prezzo del petrolio, avrebbe richiesto una consistente riduzione nell’offerta dei Paesi produttori, soprattutto dell’Arabia Saudita, la quale, invece, ha mantenuto stabile la propria produzione.
Il comportamento dei sauditi ha diverse spiegazioni. La prima è quella di mettere in difficoltà la produzione di shale-gas. Questa, infatti, è molto costosa ed è profittevole solo a livelli elevati del prezzo del petrolio. Infatti, richiede forti investimenti a causa della profondità di estrazione e dei complessi processi di raffinazione a cui deve essere sottoposto. La seconda è la speranza che una riduzione nel costo dell’energia possa rilanciare la domanda nei Paesi industrializzati e per questa via aumentare la domanda di petrolio. L’eventuale successo su questi due fronti potrebbe indurre i sauditi a ridurre la propria produzione e riportare in alto il prezzo del petrolio.
È una decisione che dobbiamo aspettarci presto oppure il calo degli ultimi mesi ha connotati più strutturali e di lungo periodo? La risposta a questa domanda è una previsione quasi impossibile da formulare. Proviamo però ad immaginare che quanto abbiamo osservato possa durare a lungo: quali saranno le conseguenze per l’economia mondiale? E per l’economia italiana?
Primo, certamente un calo di oltre 50 dollari al barile, rappresenta uno spostamento di ricchezza dai Paesi produttori a quelli consumatori di circa 1.700 miliardi di dollari, circa il 2% del Pil mondiale. Non è poco e certamente contribuirà ad un rilancio della domanda nelle principali economie.
Secondo, data l’importanza della spesa energetica quale voce di costo, una sua riduzione si tradurrà in minore inflazione. Qui gli effetti saranno contrastanti. Da un lato, le aspettative deflazionistiche potrebbero rafforzarsi, influenzando negativamente i consumi. Dall’altro, potrebbe smontare le preoccupazioni di una maggiore inflazione ventilate dai falchi delle banche centrali per contrastare le politiche espansive adottate da Draghi e dalla presidente della Federal Reserve. Il primo effetto è probabilmente più rilevante del secondo.
Terzo, come si diceva, il calo nel prezzo del petrolio sposterà risorse dai Paesi esportatori a quelli importatori. Fra i primi, i Paesi europei, il Giappone, la Cina e l’India. Fra i secondi, Iran, Russia e Venezuela. Sono tre nomi, questi, che non inducono ottimismo, trattandosi di realtà ben lungi dalla democrazia, i cui governi dipendono largamente dalle entrate petrolifere. Potremmo quindi trovarci di fronte a comportamenti destabilizzanti da parte di questi regimi per reagire alle difficoltà causate dal calo dei ricavi petroliferi. In particolare, è difficile non vedere una corrispondenza fra l’andamento del petrolio, la crisi del rublo e l’aggressività della Russia di Putin.
Quarto, il calo del prezzo del petrolio potrebbe rallentare lo sforzo di aumentare l’efficienza energetica delle nostre economie, ad esempio attraverso un maggiore ricorso al carbone. Anche questa potrebbe essere una controindicazione del minore costo del petrolio.
Quanto all’Italia, gli effetti positivi potranno essere importanti, restituendo all’economia circa 13 miliardi di euro, sebbene i prezzi della benzina stiano scendendo lentamente. Soprattutto, sarà la bolletta a non beneficiare pienamente del calo del prezzo del petrolio, gravata com’è di molteplici tasse ed oneri, primi fra tutti gli incentivi alle cosiddette fonti rinnovabili.
Sarebbe bello se il governo approfittasse del regalo di Natale per alleggerire la bolletta di tali sussidi. È questo che ci piacerebbe trovare nella calza della Befana.
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