L'Editoriale
Venerdì 30 Marzo 2018
Per il nuovo governo
si allungano i tempi
Composti (non senza polemiche) gli uffici di presidenza della Camera e del Senato, ora la politica si concederà una breve pausa per la Pasqua. Almeno in apparenza tutto si fermerà. L’appuntamento per la ripresa è fissato a mercoledì 4 aprile, al Quirinale, quando il capo dello Stato aprirà formalmente le consultazioni per la formazione del nuovo governo. Da quello che si vede in questi giorni, non sarà certo l’unico giro, anzi: tutti prevedono tempi lunghi.
Si dice che ci vorrà il mese di aprile, sempre sperando che i mercati stiano buoni e a Bruxelles non si innervosiscano eccessivamente visto che a metà del mese prossimo è obbligatorio presentare alla Commissione europea il documento di economia e finanza (Def) e non è ancora chiaro chi potrà scriverlo: il governo dimissionario può solo lavorare sull’ordinaria amministrazione, il nuovo chissà quando ci sarà, e in ogni caso il documento va votato in Parlamento ma nessuno sa da quale maggioranza. Va anche considerato che più i giorni passano, meno possibilità ci sono di un ritorno lampo alle elezioni in giugno, cui pure qualcuno pensa nel generale scoramento dei tanti neo-parlamentari che hanno appena adesso cominciato ad orientarsi nei palazzi Montecitorio e Madama.
Quindi bisogna ragionare su quello che c’è al momento. C’è una forza delle cose, scaturita dalle urne, che porta all’incontro tra Lega e Movimento Cinque Stelle. Ma perché l’abbraccio avvenga occorre superare una montagna di difficoltà. La prima riguarda la premiership: a chi tocca Palazzo Chigi? Se Salvini sembra accomodante su se stesso ma fa sapere che non sarà mai un ministro di Di Maio, quest’ultimo non si muove di un millimetro e ripete a oltranza che lui è stato votato da undici milioni di cittadini e che quindi la questione non si pone nemmeno.
Per questo la tensione continua a salire: bastava vedere ieri il sito Facebook della Lega salviniana che rilanciava, dunque implicitamente approvandolo, un testo del renzianissimo deputato dem Michele Anzaldi che attaccava a testa bassa il reddito di cittadinanza dei grillini, di cui per la verità Di Maio parla ormai sempre meno causando non pochi malumori tra gli elettori e gli stessi eletti, un niente però di quello che potrebbero avvertire se Di Maio pur di fare il governo accettasse il diktat di Forza Italia: o parlate con Berlusconi o con noi l’accordo non si fa. Se sulle presidenze il Cavaliere ha dovuto cedere tatticamente (pur portando a casa lo scranno più alto di Palazzo Madama per una dei suoi), sulla sua personale legittimità politica non potrà piegare la testa: se lo facesse neanche i suoi fedelissimi lo riconoscerebbero più e correrebbero da Salvini. Dunque la condizione posta ai grillini è imperativa: il problema però è che Di Maio non può parlare con Berlusconi, il nemico di sempre al pari di Renzi, se non vuole rischiare la rivolta interna e dell’elettorato. Che fare? Nessuno lo sa. Né c’è da ipotizzare un rientro in partita del Pd che resta ancorato alla linea dettata da Renzi, opposizione e poi ancora opposizione.
In una condizione del genere si dovrebbe fare un governo amico di tutti e di nessuno, messo in piedi dal capo dello Stato e appoggiato in Parlamento da chi ci sta e con l’unico compito di condurre gli italiani di nuovo al voto magari con una legge elettorale meno sbilenca del Rosatellum. Ma per arrivare all’ultima stazione occorre che la via sia tutta percorsa, ed è per questa ragione che la previsione unanime è che le consultazioni dureranno parecchio. A meno che naturalmente Mattarella ci sorprenda tutti e tiri fuori il coniglio dal cilindro. Hai visto mai.
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