L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 03 Gennaio 2021
Partita a scacchi per salvare il governo
Ma fino a quando?
Siamo nel pieno della partita a scacchi che deciderà la sorte del governo, di Giuseppe Conte, di parecchi ministri, forse della stessa legislatura. Conte e Matteo Renzi stanno duellando sulla scacchiera alla ricerca dello scacco matto ma nessuno dei due sembra aver ancora imbroccato la strada della vittoria. Naturalmente mentre muovono alfieri e cavalli, i due minacciano e sbraitano. Dice Conte: «Renzi mi sfida? Lo vedremo in Parlamento, contiamoci lì». Risponde Renzi: «In ogni caso noi il 7 gennaio ritiriamo i ministri, poi Conte si arrangi con i Responsabili, se li trova». Chi sono i «Responsabili»? Sono quei deputati e (soprattutto) senatori cui Palazzo Chigi starebbe dando la caccia per ottenerne il voto positivo qualora Renzi davvero facesse mancare alla maggioranza il sostegno di Italia Viva.
Si tratta di centristi vari, transfughi di altri partiti, naufraghi di varie crisi, scontenti, sconfitti nella corsa ai ministeri: insomma, il solito sottobosco parlamentare cui si fa ricorso quando le cose nel governo vanno male e c’è bisogno di un rinforzo. Ma l’operazione «Scilipoti» (Scilipoti, lo ricorderete, era un dipietrista che corse in soccorso di Berlusconi e divenne il simbolo del trasformismo parlamentare), viene respinta sia dal Pd che dal M5S: con un simile aiuto il governo, che ora è debolissimo, diventerebbe un fantasma alla mercé di qualunque ricatto e né Zingaretti né Di Maio vedono la cosa con favore considerando i problemi da risolvere. La corte di Conte lavora a questa ciambella di salvataggio, ma sta anche ricevendo molti avvertimenti e altolà. Da escludere anche un aiuto da parte di Forza Italia: in questo momento Berlusconi è impegnato più che altro a dimostrare che il centrodestra unito è l’unica vera speranza per l’Italia, e non ha alcun interesse a contraddire la linea con un appoggio spot a Conte.
E dunque? Sia Renzi che molti del Pd pensano che servirebbe una crisi «pilotata», senza cioè un voto parlamentare, in cui Conte sale al Quirinale e ne scende rivedendo la composizione della squadra di governo con un rimpasto che dia soddisfazione a Italia Viva e rimuova alcuni ministri troppo deboli (Azzolina per prima) o troppo «tecnici» (Lamorgese), e poi cedendo sulla delega ai servizi segreti, sul Recovery Plan, sul Mes. E se Conte non si piegasse? Se Conte non si piegasse e si facesse bocciare in Parlamento, c’è chi pensa ad un governo Di Maio o Franceschini con la stessa maggioranza. La cosa non farebbe piacere a Zingaretti che continua a vedere in Conte la figura chiave di una alleanza Pd-M5S da presentare alle prossime elezioni come alternativa al centrodestra, però per evitare il peggio anche il segretario del Pd potrebbe rassegnarsi. Con un nuovo premier, ci sarebbe un nuovo governo, una squadra da ricontrattare, un programma da riscrivere, a cominciare dal nome del nuovo Capo dello Stato.
Se anche questa ipotesi non dovesse vedere la luce per i troppi veti incrociati, resterebbe la soluzione di riserva dei momenti eccezionali: il governo tecnico o tecnico-istituzionale a larghissima maggioranza. Il nome del premier in questo caso è scontato: solo Mario Draghi potrebbe affrontare la prova e sembra che di recente abbia mandato qualche segnale di disponibilità. L’Operazione Draghi presupporrebbe l’appoggio anche dell’opposizione: Salvini ha fatto sapere da tempo che ci starebbe, Berlusconi anche, la Meloni per il momento è indecisa. Ma è veramente un’ipotesi troppo prematura.
Perché tra le possibilità non ci sono le elezioni, che pure vengono indicate come la strada maestra, quella più corretta costituzionalmente cui Mattarella si voterebbe? Semplice: nessuno nella maggioranza vuole andare alle urne. I grillini riceverebbero una batosta, Renzi sparirebbe e Conte, con un suo partito personale, potrebbe raccogliere addirittura l’8% di voti sottratti a Pd e M5S.
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