Parole come pietre
Se questa è civiltà

Si potrebbe liquidare la questione osservando che forse è sempre stato così, soprattutto nei periodi di crisi economica quando i cuori e il clima sociale si inaspriscono. La nostra epoca però è contrassegnata da una dilagante, compiaciuta rozzezza lessicale. Non solo nel mondo virtuale dei social network, che hanno dato cittadinanza allo sfogo dei repressi legalizzando un campionario che va da pensieri grossolani spacciati per verità fino all’insulto più volgare. Ma anche nei media tradizionali e nel dibattito pubblico. Al punto che in questi giorni la deriva verbale è stata censurata dal Papa in due occasioni. «C’è, a livello mondiale, una violenza verbale nei singoli e nella comunità, che sta facendo perdere il senso della costruzione e della convivenza sociale, che si fa prima di tutto con l’ascolto e il dialogo. Bisogna abbassare un po’ il tono e bisogna parlare meno e ascoltare di più» ha detto Bergoglio incontrando venerdì scorso docenti, studenti e personale dell’Università RomaTre. Domenica scorsa all’Angelus, il Pontefice aveva invece rivolto un invito a «non insultare gli altri».

L’abuso delle parole, usate come pietre per colpire il prossimo, è appunto un fenomeno che non riguarda solo l’Italia ma anche le altre democrazie occidentali, quella parte del mondo cioè che si vanta di rappresentare una civiltà evoluta. Lo sdoganamento della rozzezza lessicale si è connotato come rivolta contro il cosiddetto «politicamente corretto» delle classi dirigenti politiche e culturali, dell’establishment, cioè una linea di opinione e un atteggiamento sociale di attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifiutare l’offesa verso determinate categorie di persone come le minoranze. Essere politicamente scorretti corrisponderebbe invece a «dire le cose come stanno», senza ipocrisie. Leader politici in ascesa si fanno vanto di questa rottura. C’è stato un tempo nel quale chi aveva responsabilità di comando non abdicava da una pratica del linguaggio non muscolare: c’erano dei confini oltre i quali non era bene andare, non per ipocrisia ma per rispetto. Quei confini sono saltati.

La deriva del linguaggio oggi presenta il conto più salato ma ha origini lontane. «Chi parla male, pensa male» dice Nanni Moretti in «Palombella rossa», film del 1989. La rozzezza verbale non è principalmente un problema di stile o di forma, ma segnala appunto innanzitutto la rottura del nesso fra le parole e il loro significato. Ed è spinta da un pensiero aggressivo, da un’urgenza non solo di pulizia dalle vecchie, sagge prudenze lessicali ma di indicare illusorie soluzioni a portata di mano. Ne abbiamo evidenza rispetto ad alcuni temi d’attualità. La globalizzazione ha generato anche guasti, esacerbando la distanza fra i ricchi e i meno abbienti all’interno degli Stati? Ecco la risposta a portata di mano: protezionismo e addio mercati aperti. Eppure la globalizzazione ha prodotto anche effetti positivi e semmai sarebbero necessarie robuste correzioni a quel sistema: ma che importa, per argomentare in questa direzione servirebbero competenze e parole appunto adeguate che non fanno però presa in questo clima sociale da grandi pulizie. Così capita di trovare anche insospettabili esponenti della destra italiana «neotrumpiana» su posizioni «no global» sedici anni dopo il G8 di Genova...Ma il campionario degli argomenti sui quali esercitarsi in scorciatoie del pensiero e verbali è vasto, comprendendo di volta in volta i destini dell’Europa, dell’Euro o le migrazioni.

Un estremismo verbale e di pensiero che non alligna solo a destra. È esercitato anche a sinistra e tra i battitori liberi di tutti gli «ismi». È il caso del giustizialismo, teoria secondo la quale «L’Italia è un Paese di ladri» come titolò mesi fa un giornale d’area. E se ai corifei delle manette si osa replicare che serve prudenza nel valutare le vicende giudiziarie, il manicheismo che li anima ti arruola tra i pavidi.

Nel vocabolario della Chiesa c’è una parola oggi fuori moda: discernimento. In senso generale indica la capacità di valutare i termini di una questione, i caratteri di una situazione, così da poter operare scelte corrette. È una qualità necessaria in questi tempi confusi, di rifugio nelle generalizzazioni e nelle banalizzazioni. Una deriva contraddittoria perché viviamo un tempo segnato da problemi complessi che andrebbero studiati approfonditamente per individuare le soluzioni, facendo leva anche sulle opportunità che la storia recente ci ha lasciato in eredità. La complessità necessita di un vocabolario mentale e lessicale all’altezza. Non saranno le parole e i pensieri usati come pietre a tirarci fuori da questo passaggio difficile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA