Paradisi fiscali
Una falla che ci costa

Una nuova fuga di notizie riservate sta facendo tremare il mondo della finanza. I documenti trafugati e consegnati al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, oltre 13 milioni, provengono da due note società specializzate nella cosiddetta «consulenza offshore»: Appleby con sede alle isole Bermuda e Asiaciti di Singapore. Per intenderci i famosi «Panama papers», che hanno creato diversi grattacapi ai potenti di turno, al confronto non sono niente. Ma di cosa si occupano nella pratica queste società di consulenza?

tudiano dei sistemi legali – o apparentemente legali – per consentire ai loro facoltosi clienti di beneficiare di una tassazione ridotta o addirittura inesistente sfruttando la giurisdizione di Paesi come le Isole Vergini britanniche, le Isole Cayman, Jersey e Guernsey, Bermuda o Mauritius. Se state pensando che queste società operino nell’ombra, vi sbagliate di grosso. Hanno siti internet, uffici in tutto il mondo e sponsorizzano manifestazioni sportive d’importanza mondiale, come la Coppa America.

In pratica, guadagnano – e molto – sul consistente risparmio fiscale dei loro clienti. E si parla di clienti di tutto rispetto. Si va da istituti bancari a importanti multinazionali, ad esempio Apple o Facebook, a ricchissimi soggetti privati come la regina Elisabetta, Bono degli U2, Lewis Hamilton e tanti altri non meno noti. Il caso Apple è emblematico. Dopo aver studiato un sistema per pagare meno tasse in Irlanda (che non è di certo un Paese offshore) e averlo sottoposto all’approvazione del fisco irlandese, Apple ottenne addirittura un «via libera» al pagamento di imposte con un’aliquota dello 0,005%. Chiaramente la cosa, dopo qualche anno, balzò all’occhio – non troppo vigile – dell’Unione europea, ed Apple a quel punto decise di cambiare sistema affidandosi proprio ad Appleby delle Isole Bermuda che individuò nel Jersey il paradiso fiscale più adatto; un paradiso fiscale fuori dalla porta di casa dato che l’isoletta si trova nel canale della Manica, a pochi chilometri dalla costa francese.

Vi starete chiedendo: ma se si parla di strumenti legali, perché tutto questo scalpore? Perché queste società di consulenza – ed i loro clienti – sfruttano quella che si potrebbe definire una «falla del sistema fiscale mondiale» e perché alla fine della catena, queste strategie pesano anche sulle nostre tasche. Senza entrare troppo nel dettaglio, utilizzando strumenti come lo spostamento di sedi di società all’estero, si può evitare la tassazione del Paese nel quale il reddito è effettivamente prodotto trasferendola in Paesi nei quali il prelievo fiscale per quella tipologia di reddito non esiste o è molto limitato. Tutto questo con buona pace del portafogli ma con la non trascurabile conseguenza che si sta sottraendo una enorme fetta di ricchezza dal Paese nel quale si verifica l’effettivo guadagno; e questo ammanco deve essere in qualche modo compensato da altre entrate di natura fiscale.

In soldoni vuol dire che il fisco dovrà reperire le risorse mancanti da altre fonti, ad esempio dalle tasche dei soggetti che non possono permettersi per varie ragioni queste «strategie». E non si sta parlando di pochi spiccioli. I numeri di questo fenomeno sono decisamente allarmanti. Il 73% delle società più grandi del mondo hanno filiali nei centri offshore e secondo alcune stime, in questi Paesi sono conservati in forma più o meno anonima ben 7.800 miliardi di dollari che appartengono, per l’80%, allo 0,1% della popolazione mondiale. Un po’ come dire «ok, se sei ricco ed usi gli strumenti giusti puoi non pagare le tasse». Ma per reggere il bilancio dello Stato qualcuno dovrà pur pagare e sorge il sospetto che quel qualcuno sia il solito pantalone.

© RIPRODUZIONE RISERVATA