L'Editoriale
Martedì 13 Marzo 2018
«Ora basta», Ratzinger
difende Bergoglio
A spazzare via tutti i dubbi ci ha pensato ieri sera Joseph Ratzinger, il Papa emerito con una lettera inviata alla presentazione della collana dell’Editrice Vaticana sulla «Teologia di Papa Francesco». L’accusa a Jorge Mario Bergoglio di essere un teologo straccione, che in questi cinque anni ha fatto pasticci con la dottrina, stravolto la morale e sta smontando a poco a poco la Tradizione è solo l’ultima delle reazioni di coloro a cui non piace Francesco.
Ci sono decine e decine di siti cattolici che ostinatamente ogni giorno criticano il Papa e il suo modo di guidare la Chiesa. Ieri Ratzinger ha messo le cose a posto. È uno «stolto pregiudizio» che Bergoglio sia privo di particolare formazione teologica. Ma vale anche il contrario, perché quegli stessi cattolici che bollano Francesco come un discolo ignorante, esaltano Ratzinger come l’ultimo dei teologi perfetti.
Benedetto XVI dal suo eremo in Vaticano ha alzato la voce: «Plaudo a questa iniziativa che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe un uomo pratico privo di particolare formazione teologica e filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia, che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi». Poche righe che valgono anche per chi continua a ripetere che la crisi della Chiesa, che oggi Francesco sta affrontando, è responsabilità del suo predecessore. Solo chi non capisce che la realtà della Chiesa è complessa e viene da una grande storia e che di quella storia si nutre ogni giorno, può definire questi cinque anni come ruvida discontinuità.
Ratzinger affermava di volere non una Chiesa del diritto, ma una Chiesa dell’amore. La stessa identica visione di Bergoglio. Certo hanno stupito i suoi gesti, in cui c’è chi si riconosce e chi fatica a ritrovarsi. Ma è una questione di carattere, di temperamento e di stile, non una questione di dottrina. Non esiste una Chiesa di Francesco ed è per questo che i cinque anni pontificato non si possono analizzare come se esistesse un piano quinquennale del «soviet» di Santa Marta. Va detto chiaramente che chi resiste a Francesco resiste al Concilio e al Vangelo. Paolo VI nell’Ecclesiam Suam scritta nel 1964 per spiegare per quali vie la Chiesa cattolica debba adempiere al mandato dello Spirito parlava di Chiesa che «si fa colloquio», cosa che ha fatto Bergoglio in questi cinque anni con la sua evangelizzazione intrecciata di parole e gesti, se non unire popoli, scavalcare barriere, domare particolarismo dentro la Chiesa, sbaragliare presunte purezze?
Cosa voleva significare quando ha utilizzato ormai cinque anni fa, quel verbo gergale «balconear» se non provocare l’ambiente clericale, dove comodamente abitano laici e ecclesiastici, conficcati sul balcone ad osservare con supponenza la vita altrui che scorre di sotto senza sporcarsi le vesti e le suole delle scarpe?
Se Bergoglio ci ha sorpreso, se Bergoglio ci ha stupito quando è andato a vivere nella stanza di Santa Marta, tanto per dirne una, allora nei nostri cuori il Vangelo non ha il posto che dovrebbe. È vero, Papa Francesco non ha una strategia ben definita. Ma chi conosce la strategia dello Spirito e sa misurare la potenza della Provvidenza?
Bergoglio in questi anni ci dovrebbe aver convinto di una cosa. E cioè che Dio ha un suo punto di vista e che ogni cristiano avrebbe il compito di capirlo. Discernere è la parola chiave. Lui lo fa per primo. Ma non perché è il più bravo, perché è il Papa, ma solo perché è uno che prende sul serio il Vangelo. Per dirla con le parole che Hanna Arendt riferì a Roncalli, è solo «un cristiano sul trono di Pietro».
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