Olimpiadi fratelli
(e coltelli) d’Italia

E meno male che l’importante è partecipare, alle Olimpiadi. In pieno spirito decoubertiano, fatto di lealtà, sportività, amicizia, e blabla. La migliore retorica che l’Italia sa sfoderare alle parate coi portabandiera, tutti vestiti di tricolore, guarda che belli che sono i nostri ragazzi lì in mezzo a tutti gli altri. Quando alle Olimpiadi si va, poi si respira quel clima lì. Il problema degli italiani è che a forza di candidarsi, finiscono sempre per andare alle Olimpiadi degli altri. Perché non c’è candidatura che nasca decentemente, con vero spirito unitario, in questo paese. Quando ci provò Roma, per il 2024, tutti a dire (e non senza ragione, a dire il vero) che nello stato in cui versava (o versa...) Roma, di tutto aveva bisogno meno che di una nuova, enorme, gigantesca cascata di fondi pubblici.

Il che non è per forza un assunto para-leghista: i fatti di cronaca, praticamente ogni giorno, raccontano il livello spaventoso di corruzione raggiunto dal «sistema» romano. Da lì veniva anche spontaneo sospettare che questa improvvisa voglia olimpica della capitale, più che a cinque cerchi, fosse a cinque (o sei, o sette...) zeri. E la candidatura di Roma, «bombardata» da più parti, fu poi definitivamente soffocata dalla sindaca Raggi e dalla sua giunta pentastellata. Meglio fare altro, dissero. Cosa, non è ancora del tutto chiaro, visti anche i risvolti, solo per restare in ambito sportivo, conosciuti dalla vicenda dello stadio della Roma. Finché è spuntata l’ideona: persi i Giochi estivi del 2024, puntiamo tutto su quelli invernali 2026, che peraltro celebrerebbero il ventennale dell’edizione di Torino, che fu meravigliosa, ben organizzata, e fu l’occasione per ridare a Torino l’immagine di grande capitale europea che ancora oggi conserva. Bene. Sfogliamo la margherita e decidiamo e vinca il migliore. Torino si rifà avanti. Poi ci si butta pure Milano (ah, sapessi le montagne di Milano... certe nevicate sulla collinetta del Portello...), infine ci si mette Cortina, cioè forse le montagne più belle del mondo, pure senza forse.

Comitati, dossier, discussioni, polemiche. E il Coni che fa? Invece di valutare e scegliere, le appoggia tutte e tre. Come quel personaggio di un comico di qualche tempo fa, che indeciso tra il dolore di togliersi le tonsille o lasciarle doloranti al loro posto, decide di togliersene una sola. Torino, Milano, Cortina. Olimpiadi invernali 2026 nell’arco di 499 chilometri tondi tondi, Maps alla mano. Una proposta che farebbe piangere, se non facesse ridere di più. Ed eccoci all’ultimo capitolo. Deve decidere il Governo: mette i soldi per tutte e tre, andando incontro a una sconfitta praticamente certa, o chiude il capitolo? Chiude, ha detto ieri il governo: il mostro a tre teste è sotto terra. Solo che ne risuscitano subito due, Milano e Cortina piazzano un bel gesto dell’ombrello a Torino e vanno avanti a braccetto. I chilometri diventano solo 359, che in motoslitta partendo da Cascina Gobba si fanno in un baleno. Vedremo. Le «nostre» se la vedranno con la concorrenza dei canadesi di Calgary, se approveranno la candidatura nel referendum di novembre, dei turchi di Erzurum (ma si segnalano problemi di sicurezza, infrastrutture, e rispetto dei diritti umani) e degli svedesi di Stoccolma. Sulla carta, non sono concorrenti impossibili, per l’«appeal» internazionale di Milano, in grande crescita, e la bellezza sconfinata (e la capacità organizzativa, tipicamente altoatesina) delle Dolomiti. Resta il fatto della triste figura del Coni, dell’ordine inossidabilmente sparso delle nostre truppe, sgambetto sempre pronto a scattare. L’importante è partecipare. E lì per ora ci siamo. Alla maratona del caos, invece, oro argento e bronzo sono già nostri. Sotto con l’inno, coltelli d’Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA