Occupazione record
Segnali dall’Europa

Nel mezzo delle trattative per risolvere la crisi sono giunte ieri due notizie economiche apparentemente scollegate e contraddittorie. La prima è che gli occupati (pur facendo i distinguo che poi vedremo) hanno raggiunto i livelli pre-crisi, in termini assoluti a livelli mai visti dal 1977. La seconda è che la Ue ha stabilito un fondo da 30 miliardi per favorire gli investimenti nei Paesi in crisi, scomputando tali investimenti dal deficit. Da una parte cioè c’è un dato che conferma il fatto che il punto nero della crisi economica avviata nel biennio 2007-2008 e che toccò il suo baratro nell’estate-autunno del 2011 è alle spalle.

Il dato è ambiguo e va precisato, come dicevamo. Nella mole degli occupati, calano percentualmente i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e aumentano gli occupati con impieghi saltuari: in questo c’è un elemento fisiologico legato alla precarizzazione del mondo del lavoro. Contemporaneamente si registra un aumento della disoccupazione giovanile. Com’è possibile coniugare i due elementi? È possibile perché aumentano coloro che cercano il lavoro, sgonfiando la platea dei cosiddetti inattivi, coloro che appaiono neutri rispetto al mondo del lavoro. Complessivamente si può comunque dire che alla fine di tutte le precisazioni prevale l’elemento positivo, prevale cioè il fatto che il numero assoluto ed anche la percentuale di coloro che sono coinvolti nel mondo del lavoro ha raggiunto una cifra record.

Contemporaneamente l’Europa ci manda a dire che i Paesi in crisi (e noi siamo fra quelli, con una crescita che stenta a raggiungere la media continentale e debito e deficit a livelli elevati) potranno accedere a un fondo per fare investimenti, se organici a programmi virtuosi, scomputabili dal deficit. La relazione fra i due dati sta nel fatto che stiamo incrociando elementi che confermano la possibilità di lasciarsi la crisi alle spalle per concentrarsi su politiche economiche virtuose. Cioè sarebbe questo il momento per consolidare quanto è stato fatto negli ultimi mesi per uscire dalla crisi, dando un colpo di acceleratore al motore economico. È questo oggi al centro del dibattito politico? Non pare proprio. Ci si è divisi nelle ultime ore su dibattiti ideologici su euro-sì ed euro-no che hanno solo posto in secondo piano la necessità di politiche economiche virtuose. Da una parte hanno fornito benzina al fuoco delle disfide elettorali. Dall’altro – molto più dannoso – causato una impennata dello spread con il conseguente aggravio economico dei nostri conti pubblici per alcune centinaia di milioni di euro.

La speranza è che la crisi politica giunga in qualche modo presto al termine, favorendo il terreno di politiche economiche vigorose che sappiano dare uno sbocco positivo a quei dati dei quali abbiamo parlato all’inizio del nostro commento. Lo svilupparsi di tali politiche potrebbe essere ostacolato da due fattori. Il primo è il perdurare della crisi nazionale. Su questo fronte devono saper compiere ogni sforzo possibile tutte le forze politiche e tutte le istituzioni per rendere affidabile e stabile il nostro Paese. Il secondo fattore riguarda le incertezze sullo scenario geo-politico. Aumentare un clima di instabilità internazionale non favorirebbe certo la ripresa economica. La fiammata del prezzo del petrolio ce lo ha già dimostrato. Questo secondo fattore ad una prima vista appare fuori dalla nostra portata. Ma anche sullo scacchiere internazionale potremmo dare il nostro contributo di stabilità rafforzando la forza politica di un’Europa che appaia unita e coesa. Tutti elementi questi che dovrebbero essere sempre più al centro del dibattito di queste ore

© RIPRODUZIONE RISERVATA