L'Editoriale
Domenica 20 Novembre 2016
Nuove tecnologie
e sfide per il lavoro
La precarietà del lavoro genera inquietudine e, più della dimensione economica, coinvolge la dignità della persona, un valore che ha percorso i tempi della grande crisi, quando milioni di posti di lavoro sono stati cancellati e le fabbriche si sono spostate da una parte all’altra del pianeta. Il dibattito politico in Europa e negli Stati Uniti pone al centro il tema dell’occupazione anche nelle discussioni su immigrazione e accordi commerciali. Tuttavia l’Occidente dovrà affrontare nel prossimo futuro una nuova trasformazione occupazionale per effetto dei più recenti avanzamenti tecnologi. La trasformazione del lavoro per effetto delle tecnologie ha attraversato la storia dell’umanità. Negli ultimi due secoli le macchine hanno liberato gli uomini dai lavori più faticosi, ingrati e pericolosi, mentre sono stati delegati a computer e robot industriali i lavori più noiosi e ripetitivi.
Oltre a un miglioramento delle condizioni di lavoro, le trasformazioni del passato hanno sempre prodotto un saldo positivo di occupazione, creando nuovi settori economici e riservando agli uomini i compiti più complessi, con maggiori livelli di autonomia e di giudizio. Sarà così anche in futuro oppure vi sono le premesse per un’imminente disoccupazione tecnologica?
Le nuove tecnologie digitali, in particolare l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico, stanno sostituendo gli uomini in alcuni compiti di natura cognitiva, come il ragionare, l’apprendere, il decidere. Sta già accadendo in ambiti come la diagnostica medica, il supporto legale, la consulenza finanziaria, la professione giornalistica, e in alcune mansioni non intellettuali ma complesse come la guida automatica delle automobili. Le tecnologie emergenti consentono alle macchine di apprendere man mano che assimilano dati, così da imitare alcuni aspetti del comportamento umano. Sono assistite in questo dalla disponibilità di sempre più estesi e pervasivi archivi di dati (Big Data) e da nuovi algoritmi d’intelligenza artificiale, su cui i tech giants americani Google, Apple e Microsoft hanno deliberato consistenti investimenti.
Nel convegno internazionale sul Futuro del lavoro, che si è svolto nei giorni scorsi presso l’Università degli Studi di Bergamo, sono state presentate alcune recenti ricerche dell’Ocse e dell’Università di Oxford sull’effetto occupazionale delle nuove tecnologie digitali. Gli studi concordano nel ritenere che nel prossimo futuro una percentuale assai rilevante, si stima tra il 45 e il 50%, delle occupazioni avrà un’elevata probabilità di essere automatizzata. Nello stesso tempo si svilupperanno nuovi settori e nuova occupazione, ma non è noto se la creazione di nuovi posti di lavoro compenserà, come nelle trasformazioni del passato, i posti di lavoro distrutti. Concreto è infatti il rischio che la diffusione delle nuove tecnologie digitali sia così rapida, come taluni elementi sembrano indicare, da non concedere il tempo necessario alla riqualificazione e alla normale sostituzione generazionale nel mercato del lavoro.
Emergono tuttavia alcune considerazioni utili a definire i contorni dell’impatto sul lavoro delle tecniche d’intelligenza artificiale e di apprendimento automatico.
In primo luogo, alcuni elementi distintivi resteranno privilegio dell’umanità. Uno tra questi è l’intelligenza sociale, che ci consente di sviluppare una relazione con il prossimo in modo empatico e intelligente. Nelle attività di natura relazionale le macchine non prevarranno. Ad esempio, sebbene siano in rapido sviluppo sistemi diagnostici per l’interpretazione automatica delle radiografie mammografiche, non potrà accadere che nella successiva gestione della patologia il medico sia sostituito da un software. Un bravo medico sperimenta le situazioni di fragilità che conseguono alla malattia. A lui chiediamo empatia, conforto e quella speranza che abita nei margini d’incertezza della scienza medica. Non c’è software e intelligenza artificiale che possa sostituire tutto questo.
Anche la creatività è una caratteristica intrinsecamente umana e non delegabile alle macchine. Gli uomini non possono competere contro i sistemi automatici che svolgono compiti ripetitivi ad alta velocità e su grandi numeri. Tuttavia per le attività creative l’evoluzione ci ha dotato della capacità di collegare fili apparentemente diversi per risolvere problemi che non abbiamo mai affrontato prima. Le chiamiamo idee. Ed è nel processo molto umano di confronto tra idee diverse, di condivisione di dati e persino di errori, in differenti ambiti di ricerca, con interessi anche lontani, che si costruisce un ambiente generativo d’innovazione. Un conto è gestire, altro è creare.
Non ultimo, l’elemento più importante che emerge dagli studi è che il livello d’istruzione necessario per svolgere un compito è connesso alla probabilità di automatizzazione: robuste evidenze della ricerca indicano che i lavoratori con minori competenze e con un basso livello d’istruzione percepiranno un reddito progressivamente minore e dovranno fronteggiare una crescente probabilità di perdere il posto di lavoro per effetto dell’automazione.
Chi ha responsabilità di governo è chiamato a tenerne conto per impostare politiche per l’alta formazione superiore, non solo perché istruzione e cultura sostengono un percorso di comprensione anziché di contrapposizione e di solidarietà anziché d’individualismo, ma perché è tutto più facile quando la dignità di un lavoro è assicurata a tutti.
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