Nuova legge elettorale
l’urgenza rinviata

E’ evidente a tutti che il richiamo al Parlamento lanciato dal presidente della Repubblica sulla necessità e l’urgenza di approvare una nuova legge elettorale, è uno di quegli argomenti di discussione che appassionano i circoli politici e non certo le masse, assai più sensibili ai problemi concreti dell’esistenza, dal lavoro alla sicurezza. E tuttavia quel richiamo è di fondamentale importanza proprio per la vita ordinata e sicura dei cittadini, tanto più in un momento così difficile per l’Italia, per l’Europa, per il mondo, con la crisi economica che ancora non è alle spalle di una buona parte del Paese e morde larghi segmenti sociali a partire dai giovani, e con inquietanti brividi di razzismo, di rivolta, persino di guerra che agitano le giornate di tutti, anche dei più indifferenti e lontani dalle discussioni «romane» sulla politica.

Il Capo dello Stato ha il dovere di assicurare che, proprio in questo trambusto che è la vita collettiva del momento, la Repubblica abbia un governo nel pieno delle sue funzioni. E questo, piaccia o non, per il prossimo futuro non è affatto scontato. Come tutti sanno la legislatura cominciata nel peggiore dei modi nel 2013, senza un vero vincitore elettorale e persino senza la capacità di eleggere il nuovo Capo dello Stato (mai accaduto), ormai volge al termine: al più tardi nella prossima primavera si dovrà comunque andare alle elezioni per eleggere il nuovo Parlamento. Ma come ci si andrà alle elezioni? Attualmente noi non disponiamo di una vera legge elettorale per la Camera e per il Senato. Abbiamo invece a disposizione la mostruosità giuridica di due moncherini, risultato delle operazioni chirurgiche cui la Corte Costituzionale ha sottoposto prima il cosiddetto «Porcellum» e poi anche l’«Italicum», la normativa approvata sotto il governo Renzi, mai usata e subito giudicata parzialmente incostituzionale dai giudici della Consulta. Se dovessimo andare a votare usando questi due sgorbi (benché dichiarati «auto-applicativi» dalla Corte) è matematicamente certo che ci sarebbero una maggioranza alla Camera e una al Senato, diverse e nemiche.

Questo vorrebbe dire che nessun governo potrebbe ricevere la fiducia di entrambe le Camere, e bisognerebbe tornare a votare, trascinando il governo ora in carica per l’ordinaria amministrazione fino a chissà quando. Diciamoci la verità: sarebbe un disastro da tutti i punti di vista, e noi non possiamo permettercelo. La prospettiva di ripetere la lunga assenza di governo già sperimentata in Spagna e in Belgio non è cosa per il Paese che si trascina dietro il terzo debito pubblico del mondo pur non disponendo della terza economia del pianeta. Fine della premessa. Che però è la spiegazione del perché Mattarella abbia cominciato a puntare i piedi. Il messaggio è chiarissimo: senza una nuova legge elettorale non si va a votare, quindi i partiti comincino da subito a lavorare. Cosa teme Mattarella? Varie cose. La principale è che la situazione sfugga di mano e precipiti, travolgendo Gentiloni e portandoci alle urne nella condizione sopra descritta. E lo teme, Mattarella, sia perché sa che i problemi che un governo esile come l’attuale deve affrontare sono sempre più pesanti (conti pubblici, forse una maxi Manovra in autunno, crisi Alitalia, ecc.), sia perché conosce l’impazienza di Renzi di andare presto ad elezioni, una volta rieletto segretario del Pd, a prendersi la rivincita. Come si vede, l’allarme c’è tutto. Ma come hanno risposto i partiti all’appello del Quirinale? Hanno proclamato che cominceranno a discutere - attenzione: a discutere - di legge elettorale in gran fretta, e cioè il 29 maggio. Sì, avete letto bene: tra un mese, poco prima delle elezioni amministrative di giugno, quando tutto di nuovo si fermerà. Non era esattamente quello che il Capo dello Stato si augurava.

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