Non servono uomini forti
Servono statisti

Un luogo comune molto diffuso sostiene che i politici non comprendono e anzi addirittura non conoscono le vere aspettative dei cittadini. Se guardi i talk show (frequentati dai soliti noti, quelli che non stanno in Aula o Commissione) certo l’impressione è fondata. Sembra che il mondo giri solo attorno alle riforme elettorali, agli svarioni del sindaco di Roma, alle agitazioni delle minoranze Pd, alle rivalità Berlusconi-Salvini. Tutte cose irritanti per chi ha problemi di lavoro, di debiti, di precarietà. Ma questa è solo la faccia visibile, per l’appunto mediatica.

Guardando ai fatti e alla vita reale del Parlamento e delle Regioni si dovrebbe rilevare che i politici, da sempre, sanno fin troppo bene ciò che i cittadini vogliono. Le colpe maggiori non sono di distrazione elitaria ma se mai – proprio al contrario – di eccesso di appiattimento sulla domanda che viene dalla società, o meglio dalla sua parte più organizzata e rumorosa.

Lo dimostrano duemila e trecento miliardi di ragioni, una per ogni miliardo di debito pubblico accumulato nel tempo proprio su richiesta, pretesa, pressione dei cittadini, naturalmente di quelli più capaci di farsi valere, o come i taxisti romani, addirittura di ricattare. È così che si sono sommate pensioni senza contribuzioni, casse integrazioni infinite per aziende che non esistono più, o sopravvissute come Alitalia, incentivi a pioggia, condoni fiscali e non, evasioni ed elusioni, protezioni, assistenzialismi, corporativismi e salvataggi. Spesso questioni con un forte fondo di urgenza sociale, beninteso. C’è addirittura una trasmissione tv che ogni sera raccoglie audience facendo urlare «vergogna» a disoccupati, dimenticati, arrabbiati vari.

Si può persino sostenere che è anche così – distribuendo gran parte dei 2.300 miliardi di debito – che si è costruito in passato un Paese al di sopra dei propri mezzi, nell’insieme benestante, in cui un paio di generazioni hanno potuto godere di uno status superiore a quello dei padri e dei nonni.

Peccato naturalmente che il rovescio della medaglia sia stata la precarietà e il disagio di generazioni successive, quelle di oggi, chiuse nella gabbia del 40% di disoccupazione giovanile, che ruba futuro, incide sui programmi di vita, deprime la demografia, ha bisogno di immigrati per pagare una parte delle pensioni o fare lavori indesiderati.

Il punto di svolta tra il benessere drogato e l’inquietudine attuale è stato l’introduzione dell’euro. Che ha quotato a quasi 2.000 lire quello che, per la nostra allegra finanza, valeva in potere d’acquisto 1.000. Di colpo ci siamo trovati a fare i conti con la realtà, e buon per noi che proprio l’euro abbia bloccato l’inflazione, salvando stipendi e pensioni, e che la Bce ci abbia protetto (per ora) nei lunghi anni di questa crisi.

Eppure, la tendenza generale se la prende con euro e Unione europea, cioè con il termometro e il medico, non con le ragioni di fondo della nostra malattia. In una situazione del genere, occorrerebbero non politici ma statisti. Ma non se ne vedono molti in giro. Il leader europeo più autorevole, la Merkel, è in campagna elettorale e ha già detto tutto e il contrario di tutto sull’Europa, in Francia stanno demolendo i successori di Hollande ma anche quelli di Sarkozy, a tutto vantaggio della Le Pen. In Gran Bretagna il leader conservatore ha pensato bene di rimettersi al popolo per decidere sull’Europa, ed è andata come sappiamo. Sorvoliamo sul referendum italiano, e comunque da noi non c’è nessuno, neppure il più acceso grillino, che pensi che il comico sia uno statista. È solo il più bravo a protestare.Per trovare in Italia uno statista su cui si sia abbastanza d’accordo bisogna tornare a De Gasperi. Chi ha predicato in passato l’austerità, o meglio la severità nei conti pubblici, ha ottenuto il 2-3% alle elezioni e l’ultimo che ci ha provato, Mario Monti, è oggi sepolto dal ludibrio generale.

Ma forse, anziché cercare con il lanternino lo statista improbabile, basterebbe raccogliere le forze e le idee, almeno quelle che si somigliano, e per scelta, non per effetto di leggi elettorali da ridiscutere con la Consulta. Insomma anziché cercare uomini forti, meglio concentrarsi su idee forti. Se la linea di demarcazione è tra protesta e responsabilità, allora per prima cosa bisognerebbe smettere di imitare gli apparenti vincitori del momento, e difendere e diffondere la politica buona, perché non c’è solo quella che fa debito.

I muri di Trump e il rischio di un’Europa trumpista sono un pericolo, ma anche un’opportunità, visto che abbiamo la più grande economia del mondo. Se è finito il tempo del comodo ombrello Nato, che aveva convinto persino Berlinguer, e se non vogliamo un futuro fondato solo sugli introiti dei musei e sulle mance dei cinesi in gondola, dobbiamo capire che da soli non ce la possiamo fare, e che la vera emergenza è l’Europa.

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