Il ruolo dell’anziano
e la buona società

L’attenzione all’anziano è la cartina al tornasole della buona o della cattiva civiltà. Non è certo la prima volta che papa Francesco ribadisce questo concetto con forza e con chiarezza. Negli ultimi giorni, tuttavia, vi è tornato sopra con particolare insistenza.

Lo ha infatti messo a tema dell’udienza del mercoledì in piazza san Pietro e ne ha fatto il cuore del discorso letto ieri davanti ai membri della Pontificia Accademia per la Vita. Il pensiero di Francesco è molto semplice: una società che mette ai margini le persone arrivate alla conclusione della loro vita, è una società senza futuro. Può sembrare un paradosso, visto che si parla di persone che non hanno nessun futuro davanti, che hanno tutta la loro storia alle spalle. Ma al Papa è proprio questo paradosso che serve a rendere l’idea: la vita ha valore in ogni istante e se si inizia a «scartare» uno di questi istanti, in realtà si finisce con il delegittimare tutto. «L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi», ha detto Francesco mercoledì in udienza per rendere con più efficacia l’idea. «Fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo».

Scartando l’anziano l’uomo pensa di rimuovere dal proprio sguardo la debolezza che lo costituisce, la vulnerabilità che ciascuno si porta dentro. È egoismo dettato in realtà dalla paura di doversi confrontare con un destino da cui nessuno è esente. Quindi è un atto di debolezza, in un certo senso una vigliaccheria. Francesco è persona che non gira intorno alle cose. Ha un parlare sempre diretto, che spesso diventa ancor più diretto con il racconto di episodi tratti dalla propria esperienza pastorale e non solo. Mercoledì, ad esempio, a proposito di vigliaccheria, ha rievocato questo episodio, che rende l’idea meglio di qualsiasi discorso.«Una volta da bambino», ha ricordato il Papa, «la nonna ci raccontava la storia di un nonno anziano che nel mangiare si sporcava perché non poteva portare bene il cucchiaio alla bocca con la zuppa. Il figlio, cioè il papà della famiglia, aveva deciso di spostarlo dalla tavola comune e ha fatto un tavolino in cucina, così non faceva brutta figura quando gli amici venivano a pranzo o a cena. Pochi giorni dopo trovò il figlio piccolo che giocava con legno, martello e chiodi. «Cosa fai?». «Faccio un tavolo, papà, per averlo quando tu diventi anziano, così puoi mangiare lì». «I bambini – ha commentato, per concludere, Francesco – hanno più coscienza di noi».

Allontanare dallo sguardo è la negazione più grave del comandamento biblico dell’«onorare il padre e la madre». Proprio facendo leva su questo verbo, «onorare», suggerito dalla Bibbia, il Papa ha proposto ieri un esempio in positivo, ribadendo tra l’altro che i comandamenti «non sono legami che imprigionano, ma sono parole di vita». «Onorare» vuol dire ad esempio «prendersi cura» anche quando la cura non ha nessuna possibilità di portare a una guarigione. Il modello dello studio e dell’applicazione delle cure palliative per Francesco va in questa direzione, corrisponde cioè ad un impegno e ad un investimento nel «prendersi cura». «Specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che “non salva la vita”», è un modo di «onorare» oggi i padri e le madri, fa capire il Papa. Le cure palliative perciò realizzano qualcosa di importante, di non meno importante della guarigione cercata sempre dal resto della scienza medica: valorizzano la persona in qualsiasi condizione di vita si trovi.

In questo senso indicano una priorità che dovrebbe diventare tale anche in tutti gli altri contesti del vivere sociale e che è vera garanzia di civiltà: non scartare mai la vita di nessuno, ma rispettarla e amarla sempre.

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