
L'Editoriale
Lunedì 13 Febbraio 2017
No al ballottaggio
«gonfia» consensi
È stata depositata la sentenza (la n. 35/2017), con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della l. 52/2015 (Italicum). Le attese motivazioni però, come è giusto che sia, non tolgono le «castagne dal fuoco» alla responsabilità della politica nella definizione eventuale di nuove regole elettorali. Nella sentenza, molto ampia, la Corte è attenta a non travalicare il suo ruolo, rispettando gli spazi di discrezionalità della decisione politica. Si segnala poi la preoccupazione di ribadire una continuità, anche per i profili dell’ammissibilità delle questioni sollevate, con la sent. 1/2014 a proposito del «porcellum».
Nel merito: la Corte ribadisce che nella scelta del sistema elettorale esiste, in capo al legislatore, ampia discrezionalità, anche in considerazione del contesto storico-politico in cui il sistema elettorale è destinato ad operare. La censura interviene laddove la discrezionalità travalichi in irragionevolezza. In questo senso, la Corte non contesta la conformità a Costituzione del premio di maggioranza, poiché la soglia (del 40%) di consensi per la sua attribuzione al primo turno le appare non irragionevole. Né le censure della Corte si appuntano sul fatto che tale soglia sia calcolata sui voti espressi, anziché sugli aventi diritto, né sull’introduzione della clausola di sbarramento al 3%. La dichiarazione di incostituzionalità si concentra invece sul modo in cui il premio di maggioranza scatta al ballottaggio. Per come disciplinato, infatti, il premio minaccia di produrre una sovra-rappresentazione eccessiva della lista di maggioranza relativa.
Il turno di ballottaggio, infatti, è configurato come una prosecuzione del primo turno, posto che vengono impediti apparentamenti tra liste. In questo quadro, una delle liste conseguirà sì il 50% dei voti validi, ma questo esito è reso inevitabile dall’ammissione al ballottaggio di due sole liste. L’obiettivo in sé legittimo della stabilità del Governo è dunque perseguito al prezzo di uno sproporzionato sacrificio della rappresentatività e dell’eguaglianza del voto, poiché si trasforma artificialmente il consenso, potenzialmente assai limitato, di una lista in maggioranza assoluta.
Non è il ballottaggio in sé a risultare incompatibile con la Costituzione, ma il modo in cui è concretamente disciplinato. La Corte rimarca in particolare il diverso ruolo che il ballottaggio può avere in un sistema prevalentemente proporzionale, quale è l’Italicum, rispetto all’applicazione di tale tecnica in sistemi elettorali maggioritari, ove essa vale ad assegnare singoli rappresentanti a collegi uninominali. La Corte si preoccupa anche di distinguere l’elezione della Camera dei Deputati dalla disciplina elettorale per i Comuni più grandi, laddove il doppio turno si giustificherebbe per il fatto che vi è l’elezione diretta del titolare del potere esecutivo (il Sindaco), diversamente dalla forma di governo parlamentare nazionale.
Qua l’argomentazione convince meno, perché anche la forma di governo comunale è parlamentare, dato il rapporto di fiducia tra sindaco e consiglio. Per assicurare la rappresentatività della Camera, sarebbero dunque necessari correttivi del premio al ballottaggio (tra cui, esemplifica la Corte, il premio alla coalizione, anziché alla lista) che però solo il legislatore può introdurre. Intanto, il ballottaggio è cassato. Ugualmente, sul fronte delle candidature plurime, la Corte non censura lo strumento in sé, ma solo la discrezionalità arbitraria dell’eletto nella scelta del collegio di cui essere rappresentante. Anche qua i correttivi possibili sono molteplici e la Corte, per garantire l’applicabilità immediata della legge elettorale, è «costretta» a ricorrere al sorteggio, perché è l’unico criterio compatibile con la Costituzione che sia direttamente estraibile dal corpo dell’Italicum stesso.
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Alfredo Leidi
8 anni, 3 mesi
"...il doppio turno si giustificherebbe per il fatto che vi è l’elezione diretta del titolare del potere esecutivo (il Sindaco), diversamente dalla forma di governo parlamentare nazionale. Qua l’argomentazione convince meno, perché anche la forma di governo comunale è parlamentare, dato il rapporto di fiducia tra sindaco e consiglio." Ebbene, proprio perché nei Comuni si elegge direttamente il vertice dell'esecutivo (Sindaco), vi è una netta diversità con il sistema nazionale. Ad ogni modo, ammesso e non concesso che si voglia considerare "parlamentare" una forma di governo dei Comuni, in cui nei suoi organi non si annovera un parlamento, bensì soltanto un "consiglio" , quale organo legislativo, con notevoli differenze dal sistema centrale; ve ne è una che, sola, basterebbe a mio modesto avviso a impedire ogni possibile comparazione con il parlamentarismo nazionale: il principio dello "Simul stabunt simul cadent".
Filippo Pizzolato
8 anni, 3 mesi
...il sistema parlamentare si definisce per la permanenza del rapporto di fiducia, sicché anche quella locale rientra pacificamente tra le forme di governo parlamentari razionalizzate. Ciò non toglie che i sistemi abbiano delle differenze e che soprattutto non si possa applicare a livello nazionale ciò che può andare bene a livello locale, La differenza a mio avviso risiede più sulla funzione amministrativa del Comune, rispetto a quella legislativa del Parlamento, nonché sulla possibilità, strutturalmente assai più forte, dei cittadini di rendersi presenti a livello locale, ciò che rende più tollerabili riduzioni di rappresentanza.