Nemici all’angolo
Renzi avanti tutta

S’era capito sin dall’inizio che i giocatori riuniti intorno al tavolo della riforma del Senato in qualche misura baravano tutti. Ufficialmente continuavano a recitare la parte dei padri costituenti, occupati a disegnare l’architettura di una nuova Repubblica.

Nei fatti quel che interessava loro era di usare il delicatissimo passaggio della scrittura dell’impianto istituzionale per far saltare il disegno riformatore e, magari, la stessa leadership di Renzi, sia come capo del governo che come segretario del partito. A tradire il loro gioco è stato il poco interesse che hanno prestato al merito della riforma, a fronte dei grandi sforzi che hanno consumato per affossarla o, comunque, per arenarla in modo da far saltare i tempi di marcia che il Gian Burrasca di Firenze si era prefissato. Presentare un pacchetto monstre di milioni di emendamenti, come ha fatto la Lega, che altro obiettivo poteva avere se non di mettere un bastone nelle ruote del carro governativo? La stessa opposizione del M5S ha puntato al logoramento del premier, non brillando certo per la congruità e l’organicità delle sue proposte. Quanto a Berlusconi, non c’era bisogno di essere dei retroscenisti particolarmente informati per sapere che puntava sulla rottura del Pd, il che lo avrebbe rimesso di colpo fortunosamente in gioco.

Ora che sono passati i primi due articoli - i più qualificanti - della riforma, per di più in forza di una maggioranza in alcune votazioni più larga del previsto, per Renzi la strada sembra proprio spianata. Doveva essere la sua Caporetto, si è rivelata la sua Vittorio Veneto.

La minoranza interna s’è afflosciata al primo tintinnar di sciabole, lasciando soli gli irriducibili Mineo, Casson e Tocci nella caparbia determinazione di non abbassare le armi. Anche Forza Italia, comunque, s’è trovata con le pive nel sacco. Aveva puntato (nemmeno troppo segretamente) sulla scissione della sinistra dem, il che le avrebbe spalancato le porte della maggioranza. È stata, invece, lei stessa a subire una spaccatura, con un gruppo di suoi parlamentari passati nel campo nemico ad offrire il soccorso azzurro al governo.

A questo punto Renzi è assiso al centro del tavolo, libero di giocare due diverse carte. Può decidere di puntare sull’unità interna del partito incorporando nelle sue file la truppa sfilacciata della minoranza oppure di passare alla creazione dell’annunciato Partito della Nazione, offrendo una casa agli sfollati del centro-destra, Alfano e Verdini.

Una soluzione evidentemente esclude l’altra. Mettere Bersani e Verdini sotto lo stesso tetto non è infatti proponibile. C’è da scommettere perciò che Renzi, alla fin dei conti, non sposi né l’una né l’altra opzione. L’ipotesi più probabile è che rifili un pacco ad entrambi gli interlocutori, come del resto ha già fatto nel recente passato con Berlusconi. Ha tenuto in piedi il Patto del Nazareno finché gli è stato utile e poi ha dato il benservito al Cavaliere. Il baldo giovine non manca certo di scaltrezza ed è il primo a sapere che sia i transfughi di destra che gli scontenti di sinistra non hanno molte vie di fuga.

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