L'Editoriale
Lunedì 12 Dicembre 2016
Nel tunnel della crisi
molti rischi e poca luce
Crisi al buio. Mai una definizione è stata più azzeccata. Essa coglie infatti a pieno il carattere oscuro della battaglia in corso tra, e dentro, i partiti: l’opacità delle loro reali intenzioni, la contraddizione delle tattiche adottate, l’imprevedibilità degli esiti attesi. In passato, quando si usava una definizione del genere s’intendeva porre in risalto la difficoltà, una volta franata una maggioranza parlamentare, di costruirne una nuova. Per lo più, la diagnosi non suscitava alcun vero allarme.
Gli italiani facevano affidamento sulla consolidata fama del nostro ceto politico a scovare le più fantasiose soluzioni per uscire da impasse apparentemente inestricabili. Vogliamo ricordare le più celebri? Nel 1962 Aldo Moro diede un saggio della sua inventività estraendo dal cilindro la formula delle «convergenze parallele». In geometria è un assurdo, in politica si rivelò invece l’unico modo di rendere accettabile la collaborazione, sul piano dei principi improponibile, tra democristiani e socialisti: un’alleanza che univa il diavolo con l’acqua santa. Uguale acrobazia compì Moro escogitando quindici anni dopo l’inedita formula del «governo della non sfiducia». Ciò permise al governo Andreotti di assicurarsi i numeri necessari in Parlamento senza affrontare l’imbarazzo di essere sostenuto esplicitamente dal nemico di sempre, il Partito comunista.
Oggi la situazione è ben più complessa, tale da mettere a dura prova anche il più fantasioso creativo di nuove formule politiche. C’è un partito, il Pd, che detiene la maggioranza in Parlamento ma comprensibilmente oppone resistenza a caricarsi sulle sue sole spalle il peso di un esecutivo destinato a finire sotto schiaffo delle opposizioni ringalluzzite dal recente successo referendario. Senza governo non si fa una riforma elettorale, ma senza il coinvolgimento dell’opposizione ci si espone all’accusa di confezionarsi una riforma a proprio comodo.
Al tempo stesso l’opposizione non si vuole «sporcare» le mani con un governo espresso dal Pd. Per di più, un eventuale esecutivo guidato da Renzi o da un suo uomo (come Paolo Gentiloni, che ieri ha accettato con riserva l’incarico conferitogli dal presidente Mattarella) farebbe incappare il premier dimissionario nell’accusa di non volere mollare l’osso, anche se è di ogni evidenza che senza il consenso del segretario dem non ci sono i numeri, e nemmeno le condizioni, per sbloccare la situazione. Come si vede, il gatto si morde la coda. Le parallele, lungi dal convergere, divergono. Anzi confliggono. Buio fitto, quindi, per le mosse inconciliabili dei partiti. Ma buio fitto anche per l’aleatorietà della tattica da loro adottata. Non bisogna farsi abbagliare dalla sicumera che ostentano. Renzi fa il Cincinnato, ma è vigile, pronto a ritornare nella mischia per fermare i tanti nemici intenti a scavargli la fossa. Grillo, Salvini, la Meloni da parte loro protestano in coro, anche se in concorrenza, reclamando che la parola sia data subito agli italiani. Li muove, però, più la voglia di lisciare il pelo agli elettori che non la certezza di fare il pieno di consensi alla prossima prova delle urne. Berlusconi, infine, mostra la faccia feroce con il Pd. Sotto sotto, però, fa affidamento sull’indispensabilità del suo apporto per la formazione (meglio domani che oggi) di un governo di coalizione.
Buio fitto oggi per trovare l’uscita dalla crisi, ma buio fitto anche domani. Non s’intravvede infatti la luce in fondo al tunnel della legislatura, la cui conclusione resta avvolta nell’incertezzaa e gravida di rischi come poche nel passato.
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