L'Editoriale
Giovedì 19 Maggio 2022
Mosca, vendetta programmata
L’espulsione di 24 diplomatici italiani dall’ambasciata di Mosca, considerati dal Cremlino «persone non grate» sono la risposta al provvedimento analogo preso dall’Italia, il mese scorso, a carico di 30 funzionari consolari russi in servizio a Roma. Una ritorsione ampiamente prevedibile che rende visibile la tensione tra Putin e l’Italia dopo le sanzioni e l’invio di armamenti in aiuto dell’esercito ucraino, oltre alla ferma presa di posizione del premier Draghi nei consessi italiani, europei (per non parlare della recente visita negli Stati Uniti) a favore di un popolo invaso, «fratello» dell’Europa.
Ma il quadro in cui si svolge questa guerra diplomatica, in pieno clima di guerra fredda, va collocato in un quadro ancora più ampio e complesso ricco di mosse e contromosse sempre più complicate e intricate che fanno parte del conflitto allargato, la «fine delle illusioni», come l’aveva definito il premier in un discorso al Senato. Le illusioni che in Europa non ci sarebbe stata più una guerra. Perché l’Ucraina è in Europa.
Gli ultimi eventi hanno impresso un’accelerazione al quadro del conflitto. Si allarga lo scacchiere europeo con la richiesta di adesione alla Nato di Finlandia e Svezia, «passo storico» secondo il segretario generale Stoltenberg, ma anche miccia che potrebbe innescare la rappresaglia dell’impero russo, sempre più condizionato dalla sindrome dell’accerchiamento. L’innalzamento del livello di tensione tra Roma e Mosca è dovuto anche alle dichiarazioni di Mario Draghi, che ha chiesto di «accelerare» i tempi di ingresso dei due Paesi. Le convinte parole del premier nel corso dell’incontro bilaterale con la collega finlandese Sanna Marin non lasciano dubbi: «Dalla fine della Seconda guerra mondiale - ha detto - siamo compagni di strada. La Finlandia è stata ammessa nell’Onu nel 1955. I rapporti sono eccellenti e negli ultimi anni abbiamo avuto un progressivo rafforzamento dei rapporti. Nel 1955 la Finlandia è entrata nell’Unione europea. Nelle scorse settimane abbiamo mostrato una grande unità rispetto all’Ucraina anche nel cercare una soluzione negoziale e continueremo a farlo».
La politica di Palazzo Chigi e della Farnesina è molto lineare e chiara dall’inizio del conflitto, il 24 febbraio. Da una parte una piena adesione «atlantista» all’alleanza Nato, a fianco degli Stati Uniti, che ne sono il capofila, oltre che naturalmente una rivendicazione fieramente europea e l’auspicio di un ruolo sempre più da protagonista, dall’altra l’impegno a costruire una rete di dialogo per favorire un negoziato e un filo diretto tra Washington e Mosca che possa portare a un cessate il fuoco. Senza mai dimenticare i principi di libertà e autodifesa dell’Ucraina, uno Stato sovrano invaso da un altro Stato. Naturalmente questa seconda azione che mira alla pace è molto più difficile e ostacolata dalla prima, ma il premier non ha nessuna intenzione di rinunciarvi. L’espulsione reciproca dei diplomatici non la favorisce (il ministero degli Esteri russo parla di «azioni ostili e immotivate da parte dell’Italia»), ma non fermerà l’attività della Farnesina in questo senso.
In questo clima oggi il premier parlerà in aula per dare un aggiornamento sulla politica italiana nel contesto internazionale legato al conflitto ucraino, tra i mal di pancia di 5 Stelle e Lega che avrebbero voluto anche un voto sull’invio delle armi a Kiev. Ma il premier è determinato sulla linea dell’autonomia, con il velato consenso del Quirinale, da sempre scudo di Palazzo Chigi. Del resto il governo ha sempre evitato un confronto con il Parlamento in questi frangenti. È avvenuto ad esempio col governo Berlusconi al tempo dell’adesione e dell’appoggio all’intervento anglo-americano in Iraq, nel 2003. La linea di Palazzo Chigi non si è spostata di un millimetro: è già stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto sull’invio di nuove armi all’Ucraina con la secretazione della parte relativa alla tipologia di armamenti. Cosa far arrivare a Zelensky lo decide il governo, non il Parlamento. Per arrivare alla pace, potremmo sintetizzare, Draghi vuole una «diplomazia armata» che contempla l’autodifesa e la resistenza di Kiev.
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