L'Editoriale
Venerdì 03 Giugno 2016
Milano e Roma
alle urne in modo diverso
Siccome noi italiani siamo un po’ provinciali e ci piacciono le cose all’americana, siamo convinti che per decidere chi votare - o almeno giudicare i candidati, quelli buoni e quelli cattivi - basta vederli nei «confronti» televisivi. Così, anche chi domenica non voterà per il sindaco di Milano e Roma, le città più importanti al voto, si è appassionato come fosse Sanremo ai duelli trasmessi da Sky. Ora siamo tutti pronti a decidere, quasi un televoto. Roma: Virginia Raggi? Telecomandata da Beppe Grillo; Roberto Giachetti? Noiosetto come un prof. di applicazioni tecniche. Alfio Marchini?
Che avrà da sorridere sempre? Giorgia Meloni? Ma davvero le affidereste la città? A Milano è più lineare: due manager quasi uguali, Beppe Sala (Pd) e Stefano Parisi (Centrodestra), e in mezzo quel lungagnone di Gianluca Corrado, il candidato del Movimento 5 Stelle, giovane avvocato, simpatico ma un po’ spaesato.
Ma siccome noi italiani siamo un po’ provinciali, con le cose all’americana rischiamo sempre di fare figuracce, come Matteo Salvini con Donald Trump, che nonostante le fotografie ha detto: «Salvini chi? Non l’ho mai incontrato». Le cose, quando c’è di mezzo la politica e due città importanti come Roma e Milano, sono un po’ più difficili di un televoto. Però, guardate con attenzione, le due campagne elettorali aiutano a capire meglio non solo le città, ma l’Italia in generale. La sfida di Milano è politicamente importante (se la sinistra perdesse la città che ha amministrato con Giuliano Pisapia, per Matteo Renzi sarebbe uno smacco). Eppure la politica conta fino a un certo punto. I due candidati sono riusciti a trasmettere un modello «condiviso», come usa dire, della città e della buona amministrazione. Si confrontano due ex city manager del Comune (Sala lo fu con Letizia Moratti, Parisi con Gabriele Albertini). Entrambi moderati, entrambi esterni ai partiti. Due candidati civici, esperti di bilanci e di investimenti. Due profili rassicuranti per una città in piena evoluzione e in rilancio economico: dal nuovo polo tecnologico che sorgerà sul sito Expo alle periferie da migliorare, dai grattacieli che crescono alla moschea da costruire, fino ai cinesi che si comprano l’Inter e il Milan. Differenze di idee tra i due ce ne sono, ma è chiara una cosa: qui si parte da una buona base e si scommette sullo sviluppo. La parola d’ordine meneghina è «ottimismo». La politica, i partiti, contano meno.
A Roma è differente, ma non lo diciamo per campanilismo lombardo. La città è amministrativamente allo sbando, i servizi al collasso, la «ggente» imbufalita. A Roma si andrà a votare come prima cosa per «punire» la classe politica: di qualsiasi colore sia. È per questo che la candidata dei 5 Stelle va forte. In secondo luogo, a Roma la politica dei partiti conta invece tanto. Il centrodestra, dopo immensi pasticci e il grottesco siluramento di Guido Bertolaso, l’uomo di Berlusconi, si presenta con due candidati destinati a rubarsi i voti - Marchini e Meloni - per un puro gioco di potere interno alla coalizione nazionale (vero, Matto Salvini?). A sinistra, il radicale-democratico Giachetti deve temere quasi di più le faide interne al Pd, e tra il Pd e la sinistra «antirenziana», che nemmeno i rivali. L’immagine che ne risulta è quella di una competizione appesantita da una politica vecchio stile, che vota per il Campidoglio ma pensa di più al Parlamento e a Palazzo Chigi. E che in questo modo non è stata in grado di esprimere candidati del livello necessario per amministrare una città come Roma. Intanto al riordino amministrativo, allo sviluppo, a un futuro degno di una Capitale europea, tra campi rom da sgomberare e immaginarie funivie, sembra non crederci seriamente nessuno. Sono anche due diverse idee dell’Italia, no?
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