Migranti: l’Europa
tra fatti e promesse

La priorità è rafforzare la presenza in mare con l’operazione Triton e fermare le partenze colpendo le imbarcazioni dei trafficanti. Il documento approvato dal Consiglio d’Europa nel vertice d’urgenza dopo la più grave strage di migranti nel Mediterraneo, punta soprattutto a sigillare le frontiere, dell’Ue e degli Stati mediorientali e africani di transito di chi scappa da guerre e fame.

Il provvedimento preannunciato che ha fatto più clamore riguarda il possibile bombardamento degli scafi destinati all’attraversata del Mare Nostrum. Il 90% dei migranti che arriva sulle coste italiane parte dalla Libia. Ed è proprio lì che verrà messa alla prova nei prossimi giorni la realizzabilità di questa strategia difensiva e la compatibilità col diritto internazionale, in uno Stato fallito e nel caos.

La lotta agli scafisti è senz’altro prioritaria. Ma il rischio è confondere la causa con l’effetto. L’emigrazione non è generata dai trafficanti di esseri umani: hanno fiutato l’affare che si può giocare sulla pelle dei povericristi e lo stanno sfruttando. L’incasso medio per ogni barcone in partenza è di un milione di euro, comprendendo le tariffe (fino a 10 mila dollari) che i migranti pagano per il lungo viaggio dal Paese d’origine alle coste verso l’Europa. Viaggio che può durare anche un paio di anni.

Dalle intercettazioni nell’ambito delle inchieste italiane in corso sull’indecente mercato emerge che il tesoro dei trafficanti viene poi investito a Dubai, ma anche negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania, Norvegia, Svezia e Israele. Seguire questi spaventosi flussi di denaro permetterebbe di risalire alla catena di comando dei trafficanti, che hanno legami anche con dittatori e governi africani, oltre che in città europee. Colpire questo mercato però non basterà. Le migrazioni si possono deviare o arginare, ma non fermare: lo certifica la storia.

Fra le due sponde del Mediterraneo c’è una disparità economica e demografica impressionante, che rende le nostre terre una calamita. Nonostante la crisi, l’Europa infatti ha ancora oggi un reddito medio pro capite 30 volte superiore a quello della maggioranza dei Paesi africani (divario 10 volte più grande di quello che separa Stati Uniti e Messico, altra linea calda dell’immigrazione). Sul fronte demografico, basti un dato: il 65% della popolazione mediorientale ha meno di 30 anni. Nel Sud del Sahara la popolazione è destinata a raddoppiare in meno di vent’anni, per l’alto tasso di natalità e la diminuizione della mortalità.

Tra il 1960 e il 2010, nonostante il tasso di migrazione sia rimasto stabile, l’aumento degli abitanti del pianeta ha fatto lievitare il numero dei migranti internazionali da 92 a 211 milioni. Gli stranieri nei Paesi ad alto reddito sono passati dal 4,6% al 10,9 della popolazione complessiva. Ma con differenze. Nonostante la percezione di un’invasione, in Europa gli immigrati extracomunitari sono il 4% dei 550 milioni di abitanti. Il Libano con 3 milioni di residenti ospita un milione di stranieri.

Il nostro continente avrebbe ancora spazi ed energie per aprire corridoi umanitari a chi scappa verso l’Ue da guerre, dando un’accoglienza temporanea. Ma nel documento approvato a Bruxelles non c’è alcun impegno serio per la distribuzione dei profughi tra i 28 Paesi dell’Unione. L’Inghilterra chiude le porte (è in campagna elettorale) e la cancelliera Angela Merkel ricorda che «Svezia, Germania e Francia da sole accolgono il 75% dei rifugiati nell’Ue».

Servirebbe la capacità politica di mobilitare le grandi potenze e le organizzazioni internazionali per mettere a tema le ferite che originano l’emigrazione e un’azione efficace per il Mediterraneo. Sarebbe l’attivo fondativo di una nuova Europa, una storia e un’identità forte, non più solo parametri economici e paura. Sarebbe.

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