Migranti espulsi
Promesse e realtà

Nel contratto per il governo del cambiamento siglato dal movimento 5 Stelle e dalla Lega, al capitolo 13 dedicato all’immigrazione si legge fra l’altro: «Ad oggi sarebbero circa 500 mila i migranti irregolari presenti sul nostro territorio e, pertanto, una seria ed efficace politica dei rimpatri risulta indifferibile e prioritaria». Il condizionale è d’obbligo: trattandosi di persone prive di documenti regolari, la stima della loro presenza non è quantificabile con esattezza. Nei comizi il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è spinto a dare anche la tempistica: le 500 mila espulsioni avverrebbero in un anno, ne andrebbero cioè eseguite 41.666 al mese.

Ebbene, secondo le cifre dello stesso ministero dell’Interno, nei primi due mesi del nuovo governo sono stati rimpatriati 866 migranti irregolari, ai quali vanno aggiunti 163 rimpatri volontari. Si tratta di numeri in calo rispetto a quando al Viminale sedeva Marco Minniti (Pd). A giugno l’attuale governo ha eseguito 445 rimpatri, nello stesso mese del 2017, con il governo Gentiloni, furono 502. Minniti riuscì a incrementare del 15% il numero di persone riaccompagnate nei Paesi d’origine: 6.514 in un anno, ad una media di 540 al mese. Con il ritmo dei primi due mesi, il governo 5 Stelle-Lega impiegherebbe 95 anni per espellere i 500 mila immigrati irregolari.

Del resto, se si sottrae il tema alla propaganda, è evidente la difficoltà allo stato attuale di portare a termine le espulsioni. Il ministero dell’Interno valuta che per rimpatriare 10 mila migranti servono 116 voli e 20 mila poliziotti. Ogni rimpatrio assistito costa tra i 3.000 e i 5.000 euro. Inoltre la premessa è la sottoscrizione di complessi accordi bilaterali con i Paesi d’origine dei migranti, con un dare e avere. Oggi quelli in essere sono cinque, con Egitto, Nigeria, Tunisia, Marocco e Sudan, quest’ultimo molto discusso perché si tratta di un Paese che nel Sud è teatro di una guerra dimenticata ed è retto da un regime che sulla tutela dei diritti umani non va tanto per il sottile. Ma anche in presenza di accordi con gli Stati d’origine, non tutto fila liscio. È il caso della Tunisia: l’intesa prevede due voli charter a settimana per il rientro complessivo di 80 persone. Negli ultimi dieci mesi gli sbarchi dei tunisini sono raddoppiati e i sei Centri nazionali per il rimpatrio capita che siano al completo. I questori non hanno alternativa: non avendo un luogo dove trattenere gli irregolari, vengono lasciati andare con la consegna di un ordine di allontanamento.

Dei migranti di cui viene quasi quotidianamente annunciata l’espulsione, a livello nazionale meno della metà è effettivamente rimpatriata. Le difficoltà sono certificate anche dalla Questura di Bergamo: sono 400 i migranti espulsi dal 1° gennaio al 31 luglio; di questi, 90 sono stati accompagnati alla frontiera (il 22,5%) e 16 nei Centri di permanenza per il rimpatrio a Torino e Bari. In media uno ogni 15 giorni. Gli altri hanno ricevuto l’intimazione del questore a lasciare il territorio nazionale. Nell’intero 2017 le espulsioni erano state 903 con 194 accompagnamenti alla frontiera. C’è carenza di personale per la gestione dell’attività, ma più in generale di fondi e soprattutto di accordi onerosi con i Paesi d’origine.

Questi sono i dati di fatto, il resto solo promesse. E confermano che la questione migratoria va gestita a livello internazionale, tra nazioni, ed è materia anche di politica estera, per una visione prospettica che non si vede nelle agende politiche dei Paesi europei. Questa limitatezza è anche il risultato di inseguire il consenso immediato a discapito di un disegno complessivo che sappia tenere insieme sicurezza (anche dei migranti: il numero dei morti nel Mediterraneo è tornato tragicamente a salire, oltre 1.500 da gennaio) e umanità.

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