L'Editoriale
Mercoledì 09 Maggio 2018
Medio Oriente
Il dialogo utile
Il Libano è, da sempre, un Paese delicato e in apparenza precario. Troppo variegato, dal punto di vista etnico e religioso, per avere vita tranquilla, ma anche troppo importante per essere abbandonato o compromesso. Inevitabile, quindi, che il voto che ha appena rinnovato il Parlamento dopo una lunga attesa venga letto anche alla luce delle tensioni regionali, che sono molte e tutte micidiali: la pressione di Israele, la guerra in Siria (con l’enorme peso che ha scaricato sul Libano che, con 4,4 milioni di abitanti, ha accolto 1,5 milioni di profughi), il ruolo che Hezbollah ha tuttora nel conflitto (e l’esperienza bellica che ha così accumulato), l’influenza dell’Iran, le minacce degli Usa che, insieme con Israele, sono sempre più preoccupati per il crescere di tale influenza in Iraq, in Siria e appunto in Libano.
Per non parlare della disdetta, da parte di Donald Trump, dell’accordo sul nucleare iraniano, invece difeso dalla Ue, dall’Onu e dalla Russia, disdetta che piace solo a Israele e Arabia Saudita e rischia di alzare nuovi venti di guerra laddove di guerra ce n’è già fin troppa.
Se si considera tutto questo, e la preoccupazione che tale quadro può generare, si capisce perché molti commenti abbiano sottolineato l’avanzata elettorale degli sciiti di Hezbollah, e il contemporaneo calo dei sunniti filo-occidentali del premier Saad Hariri, con toni quasi apocalittici, che se in Libano si fosse prodotto un vero sconvolgimento. In realtà non è cambiato molto. E per tante ragioni. Intanto, le precedenti elezioni si erano svolte nel 2009, ovvero in un altro mondo. Non c’erano state, allora, le Primavere arabe e non era ancora cominciata la guerra in Siria. L’avanzata di Hezbollah (indubbia: con gli alleati supera la soglia di un terzo dei seggi e conquista così il diritto di veto) e la sconfitta di Hariri (che perde un terzo dei seggi ma col suo partito mantiene la maggioranza relativa) era nell’aria, in perfetta corrispondenza con la sconfitta politica dei suoi sponsor stranieri, Arabia Saudita e Usa, nella partita siriana. Alla fine dei calcoli e delle dichiarazioni, Hariri resterà primo ministro e per governare il Libano occorrerà comunque una grande coalizione di salvezza nazionale, com’era prima di questo voto. D’altro canto Hezbollah resta quel che era prima, una forza non esclusiva ma determinante negli equilibri del Libano, e non sarà qualche seggio in più a cambiare lo stato delle cose.
Però Hassan Nasrallah, la guida di Hezbollah, ha qualche ragione per intitolarsi, come fa a gran voce, una grande vittoria. Non per i numeri, appunto, ma perché il movimento ha dimostrato di non esser più solo la facciata parlamentare di una milizia combattente ma una forza politica radicata nella società libanese. Piaccia o no agli Usa e agli altri Paesi che, con Israele, considerano Hezbollah solo un gruppo terroristico. L’esultanza di Nasrallah rimanda al problema generale del Medio Oriente odierno. L’Occidente di Usa, Francia, Regno Unito e altri si è inchiodato da solo nella perenne ricerca di qualche «Stato canaglia» da punire o correggere. Il risultato è che non abbiamo più nessuno con cui parlare, tranne una serie di personaggi (tipo re Salman dell’Arabia Saudita, il presidente Erdogan in Turchia o il generale Al Sisi dell’Egitto) che non sono molto meno «canaglie» degli altri ma hanno più soldi o soldati e quindi vengono lasciati in pace. Ci siamo appiattiti sulle esigenze di Israele. Che ha il diritto di esistere e di vivere in pace e di chiedere alla comunità internazionale aiuto e collaborazione in questo senso. Ma se alla tranquillità di Israele fosse necessario il caos nel resto della regione? E se una potenza come lo Stato ebraico, che dispone del più forte esercito del Medio Oriente, dei più potenti servizi segreti, della bomba atomica e dell’aiuto militare ed economico della superpotenza americana, non fosse capace di sentirsi tranquilla mai?
Tutto questo solo per dire che con avversari come Nasrallah o come gli ayatollah che lo sponsorizzano sarebbe forse ora di cominciare a parlare. Impossibile? Inutile? E allora l’esempio della Corea del Nord a che cosa serve? Fare gli schizzinosi a corrente alternata (il mio puzzone puzza meno del loro) in Medio Oriente non serve a nulla. E condanna alla guerra perpetua, come da vent’anni vediamo ogni sera al Tg.
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