L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 09 Marzo 2018
Mattarella si prende
la ribalta. Per fortuna
Non è di routine l’appello che ieri, durante le celebrazioni dell’8 marzo, il capo dello Stato ha rivolto ai partiti: mettere al primo posto l’interesse del Paese, ha detto Mattarella, ed è probabile che questo sia solo il primo di una serie di inviti pressanti al mondo politico per uscire da una situazione «complicatissima», come l’ha definita Giorgio Napolitano (che di crisi se ne intende). È chiaro che un risultato elettorale così incerto mette il Quirinale al centro della scena. Ma prima ancora che il meccanismo delle consultazioni si metta in moto, Mattarella ha ufficiosamente mandato due messaggi: il primo dice che lui non ha soluzioni precostituite per avviare la legislatura, e che esse devono essere trovate in Parlamento nel rispetto della volontà degli elettori e della Costituzione.
Il secondo è che il capo dello Stato ascolta ciò che i partiti gli vanno a dire, e dunque tocca a loro proporre soluzioni sulla base delle quali il Colle farà le sue mosse. Premesse, come si vede, che rispecchiano lo stile di Mattarella nell’esercitare la sua carica: l’interventismo cui ci aveva abituato Napolitano non fa parte (almeno per il momento) del suo modo di fare, tantomeno il protagonismo personale. Si sta lavorando intensamente da tempo ma sottotraccia, con l’aiuto di emissari, con cautela, secondo vecchie virtù della Prima Repubblica di cui Mattarella è un geloso custode.
Nel colloquio informale che ha avuto con il suo predecessore Napolitano, Mattarella deve aver constatato che la situazione non solo è bloccata dai numeri che non consentono l’avvio di un governo né al partito di maggioranza relativa (M5S) né alla coalizione più forte (centrodestra a guida Lega); ma è complicata dal «no» che il Pd, il partito sconfitto, ha pronunciato verso ogni ipotesi di sostegno ad un governo composto dalle forze che hanno vinto. Si dice che Mattarella si sia irritato per l’intransigenza delle parole usate da Renzi nella conferenza stampa in cui ha annunciato le dimissioni da segretario e il passaggio del partito all’opposizione: ma per quanto gli restringa i margini di manovra, Mattarella non può ignorare che quel «no» è stato condiviso dalla totalità dei militanti e, successivamente, dei dirigenti (con la solitaria eccezione di Michele Emiliano). Non ci sarà forza al mondo che porterà il Pd a fare il donatore di sangue a favore dei grillini e anche di Matteo Salvini: gli «estremisti che hanno vinto le elezioni», per dirla con Renzi, «che adesso devono dimostrare di saper governare».
Con tanti auguri (visto anche che in Puglia o in Sicilia si sono già formate le file di gente che richiede il reddito di cittadinanza promesso da Di Maio). C’è però un punto di debolezza in questa posizione: se non si riuscirà a fare un governo, bisognerà tornare a votare e la circostanza, vista da un partito ridotto al 18 per cento, non è per nulla allegra. Regalare un sì agli avversari o affrontare di nuovo le urne? All’appello di Mattarella ha risposto Berlusconi il quale ha assicurato che darà il proprio contributo per trovare una soluzione e scongiurare il bis del voto: probabilmente il Cavaliere spera o in una soluzione di «larghissime intese» con vincitori e vinti, o anche un governo di centrodestra con a capo qualcuno che non sia Salvini e che potrebbe trattare l’astensione dei democratici. Ipotesi, quest’ultima, forse non sgradita ai renziani. E ora aspettiamo di vedere come si comporteranno i partiti al momento di eleggere i presidenti del Senato e della Camera. Quello è il primo atto che Mattarella valuterà per capire se e come una soluzione di sblocco possa essere trovata. Soprattutto «se».
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