L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 04 Febbraio 2015
Mattarella, cittadino
con il paese reale
Il discorso di Sergio Mattarella è stato più popolare che politico. Popolare, nel senso che ha parlato del Paese reale e s’è rivolto a chi ci vive: alla gente che soffre una crisi economica che sta durando oltre ogni limite. Il presidente ha toccato tutte le questioni che riguardano le sofferenze del cittadino comune, penetrando le pareti domestiche e inserendo nel circuito del vertice della Repubblica le angosce delle famiglie. Ha parlato da cittadino a cittadino, specchiandosi nel volto di chi non ce la fa nell’esistenza quotidiana e che, Costituzione alla mano, va tutelato garantendogli un orizzonte di speranza.
Storie di tutti i giorni, del vicino di casa, con un approccio interclassista e autenticamente popolare. Ogni presidente della Repubblica fa storia a sé, mettendoci la propria cultura e carattere e riflettendo le sensibilità prevalenti del momento, ma in ogni caso i conti tornano e siamo alla quadratura del cerchio: Ciampi con il suo patriottismo costituzionale, Napolitano con l’esigenza della stabilità politica e dell’avvio delle riforme, Mattarella partendo dal basso, dal vissuto, e legando la crisi sociale al completamento del cantiere riformista di Renzi.
Lo ha fatto, il neo presidente, con uno stile asciutto, senza separare la società civile da quella politica, ma offrendo una rinnovata prospettiva di unità nazionale e dando un senso alle ragioni del dialogo. Più auspici che moniti. Il tessitore è al lavoro per ricucire le ferite sociali e per accorciare le distanze fra opinione pubblica ed istituzioni, consapevole più di altri che va restituita alla politica la possibilità di cambiare le cose. Non c’è stato tema dell’agenda italiana ed europea che non sia stato affrontato, compresi il terrorismo e il ricordo affettuoso, di fatto una carezza, al piccolo Stefano Taché («un nostro bambino»), ucciso nel 1982 nell’attacco alla sinagoga di Roma. Alla Camera sono risuonate parole come speranza, libertà e responsabilità: termine, quest’ultimo, rimpatriato nella coscienza collettiva dopo aver patito un forzato esilio. C’è, ed è apparsa esplicita, una preoccupazione: che la recessione intacchi il patto che regge la società italiana, là dove per patto s’intendono i vincoli e i valori che tengono insieme una comunità.
Bisogna, in sostanza, agganciare la crescita in chiave europea (ed europeista) e tenere la barra dritta sulle riforme, prima che la questione sociale diventi anche una questione democratica. È su questo terreno esigente, nel riparare le ingiustizie di un Paese sempre più disuguale, che si misurano la qualità di una democrazia e la vicinanza delle istituzioni ai cittadini. Non è un caso che questo giurista di scuola cattolico democratica abbia citato quegli articoli della Carta del ’48 che indicano il principio dell’uguaglianza e quello solidarista. Ma la Costituzione, per non essere tradita, va riformata (nella seconda parte, evidentemente) per rafforzare il processo democratico, e qui arriviamo al cuore politico del discorso d’insediamento che s’innesta sul lascito di Napolitano: copertura al governo Renzi sulle riforme istituzionali ed economiche. Una partita dove Mattarella sarà arbitro imparziale, il che lascia intuire un ritorno alla normalità dopo il periodo «eccezionale» dei «governi del presidente», imposto dal deficit della classe politica e coinciso con l’ultimo periodo dei nove anni di Napolitano.
Oggi il punto di ri-partenza ha qualche base concreta. Lo stesso invito a Berlusconi per la cerimonia, che ha un significato politico al di là del protocollo onorato, indica la volontà di risolvere i conflitti e di disarmare uno scontro ventennale. Qualcosa comincia a vedersi pure sul fronte economico. Il Pd ha retto l’urto del voto meglio del previsto e il centrodestra, pur nella sconfitta, ha l’occasione di ripensarsi su basi nuove, sugli standard dei conservatori europei. E l’Europa, incalzata dal ciclone Tsipras, con la Bce di Draghi che ha immesso nuova liquidità e con una Commissione di Bruxelles che appare più flessibile, dice che, pur tardivamente, ci potrebbe essere un’interpretazione meno rigida delle discipline di bilancio.
Se mettiamo al loro posto tutte le caselle, l’impressione è che stiamo entrando in un nuovo ciclo, con qualche finestra di opportunità e dove ognuno dovrà fare la propria parte. Mattarella ha dato la rotta: rinnovare il patto sociale per riunire il Paese.
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