Ma le tasse si riducono
se si spende di meno

Ridurre le tasse è una politica di sinistra? Dopo che Renzi ha dichiarato di volere abolire l’Imu se lo saranno chiesti in molti, soprattutto fra gli elettori di sinistra. In effetti, mentre un obbiettivo del genere non stupisce se dichiarato da Berlusconi o da Salvini, non è fra i più ovvi se lanciato dal segretario del Pd, che non a caso ha pure detto: «Il Pd non sarà più il partito delle tasse».

In effetti, per la sinistra tradizionale uno dei capisaldi è quello di una tassazione fortemente progressiva. Da un lato, aliquote alte applicate ai redditi più elevati rappresentano lo strumento principe per perseguire l’obbiettivo della redistribuzione del reddito. È un traguardo che non necessariamente si può ritenere conseguito in un Paese come l’Italia, dove esiste una massiccia evasione fiscale e dove su quasi 41 milioni di contribuenti solo 30.000 italiani dichiarano di avere un reddito superiore a 300.000 euro.

D’altro canto, la sinistra tradizionale crede nello Stato e nella spesa pubblica quale strumento per conseguire gli obbiettivi di una società più giusta. Alla sinistra tradizionale non piacciono le scuole o gli ospedali privati, non crede che le municipalizzate debbano essere privatizzate, non trova sbagliato che aumentino i dipendenti pubblici quale risultato di uno Stato che interviene in oramai tutti gli aspetti quotidiani della vita dei cittadini. È una visione che richiede una spesa pubblica massiccia e, quindi, una altrettanto massiccia tassazione.

A onore del vero fra i sostenitori della spesa pubblica non troviamo solo la sinistra tradizionale, ma anche tutti coloro che ne beneficiano. Non dobbiamo dimenticarci che ogni euro di spesa pubblica, anche quando è speso male, si traduce in altrettanto reddito per qualcuno: può essere lo stipendio di un dipendente pubblico, una pensione Inps, il fatturato di un’impresa che ha vinto un appalto pubblico, un finanziamento a fondo perduto.

Ecco qual è il problema che Renzi dovrà affrontare. Dal momento che l’Italia non può permettersi di aumentare il proprio debito, qualunque riduzione nelle entrate dello Stato dovrebbe trovare copertura in altrettanta riduzione della spesa pubblica.

Affrontare la reazione degli interessi colpiti da tale politica non sarà facile. Non a caso, al pari dei suoi predecessori, Renzi sinora non ha fatto nulla in questo senso: ha licenziato il commissario alla spending review ereditato dal precedente governo, nominato l’ennesimo gruppo di lavoro, ma di tagli non se ne sono ancora visti. Al ministero dell’Economia in via XX Settembre, per dirla con Gadda, è sempre un pasticciaccio quando si parla di spending review.

Qualche perplessità sulla proposta di Renzi è quindi legittima. Non a caso, il suo consigliere economico, Gutgeld, dice che le risorse per il taglio delle imposte verranno sì da minori spese, ma anche dalla crescita, quella indotta dalla ridotta pressione fiscale. È una vecchia idea e neanche troppo di sinistra. Suggerita dall’economista Laffer, che la spiegò a Reagan disegnando una curva su un tovagliolo, la cosiddetta curva di Laffer fu il cavallo di battaglia del presidente americano: le tasse si possono ridurre, perché il minor gettito causato da aliquote più basse è più che compensato dal maggior gettito derivante dalla crescita economica generata dal calo delle imposte. Nel caso di Reagan non funzionò: sotto la sua presidenza, infatti, il deficit americano conobbe una crescita esponenziale.

Insomma, non sembra che Renzi voglia ridurre la spesa pubblica di 45 miliardi, tale infatti è la stima del gettito che verrà meno a causa dell’abolizione dell’Imu e della riduzione delle aliquote. Peccato. Vedremo se e come Renzi farà seguire alle parole i fatti. Quello fatto all’Assemblea del Pd, ancora una volta, ha più il sapore dell’annuncio che non di una decisione ponderata, di cui si sono studiati i termini concreti di applicazione.

Uno Stato che riduce le tasse è anche uno Stato che spende di meno. Non siamo sicuri che sia una politica di sinistra, ma certamente è una politica riformista, quella di cui l’Italia ha bisogno.

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