L’orgoglio renziano
all’ultimo miglio

Renzi, visto venerdì alla Fiera di Bergamo, ha dato una precisa impressione: quella di avere la testa già oltre le primarie del Pd, a fine mese, e di essere pronto allo scontro con Grillo, che sarà molto duro. L’ex leader, in procinto di archiviare la transizione da ex, ha attaccato su tutti i fronti il fondatore dei 5 Stelle, riservando a Salvini un paio di citazioni: è un indizio non solo dell’agenda in campo, ma anche della misura dei tempi che porteranno al confronto diretto. Renzi è apparso tonico e in ripresa dalla «bella botta per il Paese» della sconfitta referendaria e ha rivendicato le buone cose fatte dal suo governo, trasmettendo anche l’immagine di un uomo che ha fretta di arrivare al dunque: la percezione, che può anche essere sbagliata, è stata comunque questa. Non ha trattato il tema del voto e solo un cenno alla legge elettorale che non c’è, ma l’ipotesi delle elezioni anticipate va e viene rimanendo sullo sfondo, conoscendo peraltro i paletti del Quirinale.

Molto, però, dipende da quel che succede nel frattempo. Il voto in Francia, dove il Pd renziano s’è schierato con Macron, è una variabile che condizionerà una serie di dinamiche, tanto più che le primarie dem si collocano fra il primo e il secondo turno delle presidenziali. Poi bisognerà misurare la distanza fra le componenti renziane (il ticket con il ministro Martina che ieri giocava in casa) e quelle di Orlando ed Emiliano per capire i rapporti di forza interni. L’ex leader, fin qui, ha ricevuto l’investitura di iscritti e dirigenti, cioè del corpaccione dem, e su questo lato sente di essere forte e di aver ripreso il partito, ma il riallacciare la connessione sentimentale con l’opinione pubblica attende una verifica. Ci sarà, poi, una fase intermedia, con la nuova geografia Pd, i pesi e i contrappesi, i nuovi equilibri di un partito «plurale e che vuole fare squadra», come ha insistito Martina, e dall’identità popolare che intende essere alternativa ai populisti.

In questo percorso, tuttavia, il passaggio decisivo e che merita più attenzione del solito si compie in questi giorni: mercoledì prossimo con l’approvazione del Def (Documento di programmazione economica e finanziaria) e poi con il decreto di accompagnamento alla manovra correttiva di 3,4 miliardi. Per quanto definita «manovrina», si tratta pur sempre di un pacchetto corposo di 100 articoli che tocca una serie di questioni: bilancio, fisco, enti locali e infrastrutture. Si apre quindi una fase nuova che salda il probabile ritorno di Renzi alla guida del partito alla messa in sicurezza dei conti, che dovrebbe avvenire, dopo il rientro dell’ipotesi di alzare l’Iva, senza strette fiscali. Non è un caso, quindi, che Renzi abbia ripercorso il cammino di questi anni, rivendicando le riforme fatte ma inserendole in una prospettiva di governo: dalla lotta alla povertà attraverso il reddito d’inclusione appena varato, alternativo anche concettualmente al reddito di cittadinanza dei grillini, agli interventi strutturali per le famiglie.

Una tentazione dei tempi brevi che s’è avvertita quando Renzi s’è proiettato in avanti («I prossimi 5 anni saranno decisivi») e nello spartito programmatico, quello di un’Italia che non s’accontenta di piangere su se stessa, ma che si mette in gioco: un vocabolario (orgoglio, speranza, determinazione) costruito in positivo per rassicurare e per prospettare, appunto, un’azione di governo. In effetti, per la comunità renziana, è stata la giornata dell’orgoglio in attesa dell’ultimo miglio delle primarie: nella sala gremita della Fiera c’era il popolo, in cui spiccavano gli amministratori della provincia, e gente comune che voleva capire i termini della ri-partenza di Renzi.

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