L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 24 Febbraio 2016
L’orecchio americano
e l’autunno di Berlusconi
Se dalle telefonate di Berlusconi e dei suoi collaboratori spiate dagli americani tra il 2008 e il 2011 cercate qualche cosa che non sapevate, magari un succoso retroscena, una rivelazione che vi spieghi qualcosa di come vanno questi tempi bui, sappiate che non lo troverete. Almeno per ora, beninteso. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, le indiscrezioni di Wikileaks pubblicate in Italia da Repubblica, sulle attività dell’Nsa statunitense ai danni di un capo del governo italiano in affanno, non ci diranno molto di più di quello che sapevamo.
In una di quelle conversazioni intercettate, un consigliere dell’ex Cavaliere, Valentino Valentini, raccontava che nel corso di un incontro a tre fra Berlusconi, Merkel e Sarkozy dell’ottobre 2011, in piena crisi finanziaria, erano volate parole grosse.
«Deciditi a fare qualcosa, le parole non bastano più» avevano detto il francese e la tedesca all’italiano, riferendosi al nostro debito pubblico che in quel momento si stava gonfiando come un mostro, con lo spread che veleggiava quasi a quota 600, e tutti chiedevano al governo di Roma di fare qualcosa per fermare la febbre dei mercati internazionali che rischiava di far fallire l’Italia e con essa l’Europa. Ma il governo di Roma era in piena crisi, Berlusconi aveva rotto i rapporti col suo ministro del Tesoro Tremonti, in Parlamento la maggioranza parlamentare si era dissolta e sui giornali impazzavano notizie imbarazzanti sulle cene eleganti del premier, il caso Ruby e quant’altro.
Bene, in quel contesto Valentini raccontava al telefono più o meno ciò che tutti venivano a sapere alla luce del sole, e cioè che i partner non ne potevano più dell’ex Cavaliere. Basterebbe ricordare i sorrisini ironici di Merkel e Sarkozy quando in una conferenza stampa qualcuno aveva chiesto loro se si fidavano delle promesse del loro collega a mettere sotto controllo i conti pubblici italiani. Insomma ciò che ci viene fatto leggere oggi è l’ennesima riprova che in quell’autunno di tempesta sui mercati i nostri partner, già diffidenti verso Berlusconi, temevano di subire le conseguenze dell’instabilità e della perdita di credibilità del suo governo. Del resto ricorderete che improvvisamente, quasi senza protestare, Berlusconi in quattro e quattr’otto sloggiò da Palazzo Chigi e al suo posto come per incanto Napolitano fece apparire il professor Monti, la persona che tutti volevano da mesi. Ma è una riprova, dicevamo, non una rivelazione.
Altro aspetto delle rivelazioni di Wikileaks: ci dicono che gli americani ci spiano. Anzi, che spiano tutti, amici e nemici. Tedeschi, francesi, russi. E italiani. Sai che novità. A Washington non hanno certo dimenticato di essere una potenza imperiale e si comportano di conseguenza, come hanno sempre fatto dalla Seconda guerra mondiale. Per mille ragioni che è ormai superfluo ricordare, tra gli «attenzionati» noi italiani siamo sempre stati in prima fila: i nostri governi nei decenni ne hanno preso atto con nonchalance. Sapevano che il mondo della Guerra fredda andava così. Ma anche quello dopo, naturalmente, il mondo delle crisi «disordinate» in cui gli Stati Uniti hanno un bisogno ancor più vitale di sapere tutto ciò che si muove intorno ai loro interessi nazional-imperiali. E, particolare non da poco: Berlusconi negli anni del suo governo ha sempre fatto mostra di rapporti internazionali non perfettamente allineati con Washington, persino ai tempi del suo «dear friend» George Bush. Ricordate l’amicizia con il paria di Tripoli Gheddafi? E quella con Putin che portava agli accordi con Gazprom? E l’affetto per il turco Erdogan, il bielorusso Lukashenko e il tunisino Ben Ali? Un attivismo che gli americani guardavano con sospetto e preoccupazione. E si comportavano di conseguenza.
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