L’Olanda può diventare
salvagente d’Europa

Finalmente una buona notizia: con il successo conseguito in Olanda, i moderati – europeisti e liberali – hanno vinto il primo round dello scontro con le forze populiste che si stanno affacciando prepotentemente sulla scena. Non solo Geerd Wilders, il campione dell’estrema destra che vuole uscire dalla Ue e chiudere tutte le moschee non è riuscito, come pure indicavano molti sondaggi, nell’intento di fare del suo Pvv il primo partito del Paese; anzi con 20 seggi conquistati (su 150) ha sì progredito di quattro rispetto al 2012, ma è rimasto ben al di sotto del suo massimo del 2010 (24). Ciò nonostante, ha incassato bene la sconfitta: «Rutte, non credere di esserti liberato di me», ha twittato, rivolgendosi al primo ministro liberal-conservatore che ne ha conquistati 33, sette di meno dell’ultima volta, ma sempre abbastanza per uscire in testa e ipotecare di nuovo la carica di primo ministro.

A causa dell’estrema frammentazione del Parlamento, dove grazie alla proporzionale pura sono entrati ben 13 dei 28 partiti in lizza, il compito di formare un nuovo governo sarà molto complesso e - stando alla stampa di Amsterdam - potrebbe richiedere settimane o addirittura mesi.

Dovrebbe comunque essere di centrodestra, con la partecipazione di alcune formazioni della sinistra moderata (non dei socialisti, che sono precipitati da 38 a 9 seggi) per arrivare al quorum di 76. Lo stesso Wilders ha detto di essere disposto a entrare nella coalizione, in cui nessuno degli altri lo vuole, e ha preannunciato che voterà comunque a favore delle leggi compatibili con il suo «credo». Con questo impegno, mira probabilmente a spostare ulteriormente a destra il baricentro del dibattito politico, come gli è riuscito di fare negli ultimi anni, ed eventualmente a fare passare alcune delle sue istanze meno estremiste.

A parte la vittoria di Rutte, il dato più confortante di queste elezioni è l’altissima percentuale dei votanti: 82%, dieci punti più del 2013 e quasi un primato per l’Europa del Terzo millennio. Gli olandesi, con gli occhi di tutto il continente addosso, si sono cioè dimostrati consci della posta in gioco e, scegliendo a stragrande maggioranza partiti filoeuropei, hanno sicuramente rinforzato le istituzioni della Ue.

Gli eurocrati, infatti, sono stati i primi a congratularsi, nella speranza che il messaggio mandato dagli olandesi influenzi in senso filoeuropeo e antipopulista anche le prossime elezioni francesi e tedesche. «Si vede che dopo la Brexit - ha commentato il capogruppo dei Popolari a Strasburgo Weber - la gente ha ricominciato a votare non con la pancia, ma con la testa».

Siccome ogni Paese ha problemi (e sistemi elettorali) diversi, sarebbe un grave errore presumere che «l’effetto Olanda», per quanto benefico, si ripercuota automaticamente nel resto dell’Europa. Tuttavia, qualche segnale che sia il Front national in Francia, sia Alternative fuer Deutschland in Germania comincino ad avere qualche difficoltà a fare accettare il loro messaggio si sta già avvertendo. Un certo numero di elettori, cioè, comincia a rendersi conto che i loro programmi sono almeno in parte irrealistici e porterebbero loro più danni che vantaggi. Che cosa sarebbe, per esempio, della Francia, una volta che fosse fuori dall’Ue e dall’euro? E, viste anche le vicende del Movimento Cinquestelle in Italia, con quali uomini e donne governerebbero i partiti della protesta? Al momento di entrare in cabina, sono interrogativi che pesano.

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