L'Editoriale
Lunedì 24 Luglio 2017
«Zingaro» bruciato
e i crolli di Pompei
Ogni volta che a Pompei viene giù un muro, un muretto, o anche «solo» un sassetto, ne parla il mondo. Giustamente. Pompei è un patrimonio della Storia, dell’Italia, di tutti. Oggi, dovrebbe accadere la stessa cosa. Il fuoco ha divorato una parte dei pendii della Riserva naturale dello Zingaro, provincia di Trapani, Sicilia. Una perla, una meraviglia assoluta. Una riserva nel vero senso del termine: nessuno finora aveva osato fare su quella terra ciò che purtroppo il nostro Paese - e la Sicilia in primis - ha visto troppe volte. Non ci sono case abusive, dentro lo «Zingaro». Non ci sono bancarelle, negozi di souvenir, chioschi improvvisati che vendono panini. Non c’è nemmeno un distributore automatico di bottigliette d’acqua ben nascosto, che qualche volta sarebbe anche benvenuto. La Riserva dello Zingaro è vergine, terra vera, scontrosa, che si butta in un mare da togliere il fiato. Fosse negli Stati Uniti, o in Australia, o ai Caraibi, gli italiani farebbero la fila per prender posto in aereo, sorbirsi voli interminabili e fusi orari che rimbambiscono pur di visitarla e mandare un selfie agli amici per incassare la loro invidia. Voi siete lì, ma guardate dove siamo noi.
Invece è in Italia, nel cuore occidentale della Sicilia, e domandando a cento italiani dove si trova la Riserva dello Zingaro saremmo felici di sentirci rispondere correttamente da una decina, forse quindici persone. Eppure questo lembo di terra tenuto insieme da un sentierino e una serie di minuscole spiagge è una delle bellezze più rare e meravigliose del nostro Paese. Da ieri ne abbiamo perso un po’, ma non ci si dispererà come giustamente capita per i crolli della povera e semiabbandonata Pompei.
Spesso ci scordiamo di quanto il nostro Paese possa offrire dal punto di vista ambientale. Spesso parliamo e ci gloriamo più della varietà di vini e sughi, che non della varietà di paesaggi. Tuteliamo più una tagliatella che una costa, più un cotechino di un monte, dimenticando che sono tutti parte della nostra cultura, del nostro «essere» e di ciò che possiamo offrire a chi viene a trovarci. Solo che la tagliatella non crolla e non brucia: al massimo scuoce, e la si può rifare.
Lo «Zingaro», invece, è come le pendici del Vesuvio, già abbondantemente violentate. È come la Valle dei Templi di Agrigento, faticosamente recuperata nei decenni dalle fauci dell’abusivismo. È come le meravigliose pinete di Roma, anch’esse divorate dalle fiamme.
A una manciata di chilometri da lì, dal sentierino e dalle spiaggette dello Zingaro, ci sono perle assolute della nostra Storia, come Erice, Segesta, e una miriade di borghi che da soli valgono mille e mille selfie.
Eppure, non c’è - qui come altrove - il senso della gravità delle ferite inferte alla natura. L’Australia brucia regolarmente ogni estate. L’Africa, almeno laddove i contadini riescono a coltivare, non sfugge all’antica convinzione che un incendio renda più fertile il terreno. Non da meno sono gli Stati Uniti. Il Ponte del Costone tiene insieme Melbourne e la California: le fiamme non fanno prigionieri.
Il problema italiano è però diverso. L’Australia è sconfinata e spessissimo desertica, in Africa spesso c’è l’«attenuante» della fame. In Italia c’è di tutto, in primis la criminalità. E non è solo un tema di prevenzione. Non bastano i giri di vite legislativi. Le promesse di arresti e anni di carcere non fermano mani armate di lupara, figuriamoci quei miserabili cui basta una tanica per aggredire la natura. Non bastano nemmeno flotte di Canadair, forestali e volontari. Che vanno benissimo (soprattutto quando non li si lascia a terra a mezzo riforma), ma quel che serve davvero è la consapevolezza di quant’è preziosa la nostra natura. Selinunte, per restare in Sicilia, non sarebbe quel che è senza l’ambiente che la circonda. Idem Segesta, idem il Teatro greco di Taormina, idem quella meraviglia semisconosciuta della Villa romana di Piazza Armerina. Gli antichi sapevano bene dove costruire ciò che ci hanno lasciato: nei punti dove la natura, prima di tutti, aveva fatto il suo lavoro migliore.
È per questo che ci si deve disperare, se brucia la Riserva dello Zingaro: abbiamo scelto di conservarla com’era, ma non siamo capaci di preservarla da chi pensa che una volta bruciato il pendio magari un resort nel giro di qualche anno lo si potrà anche tirare su, una volta eletto il sindaco giusto. La migliore risposta, una volta domate le fiamme, sarà aiutare la natura a riprendersi quel che si è provato a rubarle, così come a Pompei si prova a ricostruire ciò che crolla. La natura e la storia fanno dell’Italia ciò che è. Purtroppo, non hanno ancora finito il lavoro sugli italiani.
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