Lo splendido isolamento
degli inglesi global

Esattamente un anno fa – il 23 giugno 2016 – 46,5 milioni di elettori britannici si sono recati alle urne per decidere l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Con il 52% dei voti ha vinto il «leave». Da allora sono cominciate a cadere sulla testa dei sudditi di Sua Maestà una serie di avversità che fanno il paio con quanto accade spesso ai comuni mortali cittadini: quando la jella si scatena non sembra aver fine. C’è però sempre il momento in cui l’uomo ci mette lo zampino e in questo caso gli indizi conducono alla Brexit. Lì sembra che si sia rotto un equilibrio. Fatto sta che nel frattempo si sono succeduti in un breve lasso di tempo ben tre attentati terroristici di matrice islamica a Westminster, Manchester e London Bridge: 36 vite spezzate, questo il tributo versato. E, come se questo non bastasse, è andato a fuoco un grattacielo con ben 79 vittime. Qui l’Isis non c’entra, solo incuria e faciloneria nei lavori di rimodernamento dell’immobile. Gli appartamenti sono privati ma le parti comuni di questi vecchi edifici sono rimaste pubbliche. Rimettere a norma con le regole antincendio costa. Così ci si limita a interventi di facciata.

Il Grenfell Tower diventa lo specchio di un Paese diviso. Da una parte quelli che dalla globalizzazione hanno guadagnato e nella Grenfell Tower non ci vanno ad abitare e dall’altra quelli del ceto medio decaduto che si devono accontentare. Sono ai margini come gli stranieri che a Londra tentano la fortuna e non sempre la trovano. Se un criptomarxista vecchia maniera come Jeremy Corbyn arriva al 40% in un Paese a tradizione liberale c’è qualcosa che non va. Resta il fatto che tra la latente minaccia di un atto terroristico e la trasandatezza dell’amministrazione pubblica anche il tradizionale aplomb degli inglesi comincia a vacillare. I residenti hanno assaltato il municipio circondatoriale e solo quando sono arrivati pompieri è scattato un applauso liberatorio. Loro sì che con abnegazione si sono prodigati a salvare quel poco che era rimasto da strappare alle fiamme. Quando le cose non vanno c’è bisogno del salvatore. Ed è quello che probabilmente hanno pensato molti di quelli che hanno votato Brexit. Hanno creduto nella buona stella della Gran Bretagna.

Hanno sperato che la storia, l’Impero, l’orgoglio bastassero al Regno per trarsi d’impaccio. Liberarsi dei vincoli dell’ Unione europea ha un valore emblematico,significa porre un freno all’immigrazione. La globalizzazione trova il suo volto, sinora rimasto nell’anonimità delle transazioni commerciali, nello straniero. È qui che il cittadino comune può concentrare la sua attenzione perché l’immigrato lo vede tutti i giorni nelle strade, lo legge nei giornali, lo percepisce nella difficoltà di trovare un posto di lavoro. Un Paese diviso anche su questo perchè le grandi città, i grandi centri industriali e dei servizi, le intelligenze sono per le pari opportunità. Non è quindi un caso che alle lacerazioni del tessuto sociale e del terrorismo si associno quella della politica.

La scelta sciagurata di Theresa May di indire elezioni anticipate l’ha castigata. La sua insistenza su una trattativa dura con Bruxelles, le ha sottratto le simpatie della controparte. Adesso ha dieci giorni per dare un volto ed un programma al suo governo. Se non gliela fa, il suo destino è segnato. E non dimentichiamo Finsbury Park, dove un bianco non musulmano ha voluto punire i musulmani. Per fortuna solo una vittima. Ma il segnale è aberrante. Può portare all’imitazione. Il risultato sarebbe il passaggio dalla lotta democratica al terrorismo ad una guerra di religione. La Gran Bretagna nel suo splendido isolamento sta diventando la prima linea dei nuovi conflitti globali.

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