Lo spirito di Assisi
antidoto alle guerre

Il cantiere resta aperto e chiuderà quando la guerra verrà abolita. L’impresa avviata da Giovanni Paolo II, che ebbe il coraggio di invitare chi per anni e anni, anzi per millenni, si era considerato estraneo, spesso nemico, giungendo perfino a pregare uno contro l’altro, continuerà finché non sia per tutti chiarissimo che la guerra è follia di gente avida di potere e di denaro. Ma forse neppure allora si potrà essere certi di aver fatto l’impresa. Per arrivare all’abrogazione della guerra, in punta di diritto e anche di economia, occorre organizzare perdono, accoglienza, reti di collaborazione e strumenti di educazione. Martedì ad Assisi questa è stata la lezione proposta da Jorge Mario Bergoglio e dalle decine di leader delle religioni di tutto il mondo. Così lo «Spirito di Assisi» dovrà essere ancora alimentato per molto tempo.

Anzi per sempre in un mondo immemore e troppo prudente che in questi anni ha considerato prima una santa stravaganza l’iniziativa di Karol Wojtyla e poi una eccentrica bizzarria la cocciutaggine della Comunità di Sant’Egidio a voler ogni anno testardamente mettere insieme uomini di religione. In trent’anni hanno imparato ad essere fratelli. È un risultato, ma non basta e poi, come vediamo al tempo della guerra a pezzi che incrementa i fatturati dei venditori di armi e alimenta populismi ed estremismi.

I tre giorni di confronto ad Assisi e il memorabile pomeriggio di ieri hanno indicato una road map da percorrere senza indugio. È quella prima di tutto della purificazione del linguaggio, per sottrarre terreno alla paura, per contrastare l’indifferenza, per sbaragliare la quiete e la tranquillità di chi volta la faccia dall’altra parte davanti ai drammi della globalizzazione che uccide. Bergoglio nei due interventi di ieri, nella meditazione alla Basilica inferiore e nel discorso nella piazza di San Francesco, ha definito l’indifferenza il nuovo paganesimo dell’era 3.0, del terzo Millennio digitale. È una categoria difficile da afferrare quella del paganesimo per un’epoca in cui è già problematico cogliere quella dell’umanesimo. Eppure Bergoglio non ha avuto alcun timore ad usarla. La sua lezione è perfetta e contrassegna la necessità di una nuova narrativa, che chiama le cose con il proprio nome. Perché l’indifferenza alimenta la paura, uccide la convivenza e alla fine porta violenza e guerra. È il risultato di quella turbo-globalizzazione che ci ha reso tutti più cattivi, che ha creato consenso attorno a politiche sbagliate, miopi e di corto respiro, attorno a negoziazioni se non per la pace almeno per una tregua, che durano l’attimo di un respiro. Accadeva per Sarajevo, accade oggi per Aleppo. Papa Francesco, insieme a tutti gli altri, ha spiegato che il dialogo non è solo un metodo, ma è la ragione della resistenza allo spirito brutale del tempo nostro, che ritiene fenomeno naturale la violenza e la guerra. È antidoto all’«inquinamento dell’indifferenza», all’ «egoismo di chi è infastidito» perché il dramma non tocca i suoi interessi, alla prudenza dei puri che cercano scorciatoie e si coprono volto orecchi e naso per non sentire il grido dei poveri e la puzza della morte che sale dall’Africa, dal Medio Oriente, dal Messico. Lo Spirito di Assisi invece mette di fronte tutti alla propria responsabilità e spiega che c’è solo un modo per opporsi all’estremismo dei terroristi e a quello altrettanto idolatrico dell’indifferenza dei più. Prima di tutto vergognarsi, parola potente e drammatica che ieri mattina il Papa ha usato nella quotidiana omelia a Santa Marta poco prima di recarsi ad Assisi.

Lo Spirito di Assisi impone un esame di coscienza a tutti e non solo ai leader religiosi. Lo Spirito di Assisi si muove contromano rispetto a tutte le strategie che di solito gli uomini e le istituzioni usano per intimidire, isolare, umiliare, offendere e mortificare. Lo Spirito di Assisi predispone all’ascolto del grido di chi soffre e ad una analisi di ciò che non va nelle politiche economiche e migratorie e più in generale nelle geopolitiche degli Stati e delle grandi organizzazioni sovranazionali. Lo Spirito di Assisi è l’unico che può contrastare il declino delle democrazie e il suicidio dell’Europa che blinda le frontiere con muri, filo spinato e referendum come a Budapest.

E infine lo Spirito di Assisi è l’unico in grado di boicottare l’oblio a cui il nostro benessere, per altro fondato sulla sabbia, come ha denunciato con una efficacissima immagine evangelica ieri il Primate anglicano Justin Welby, ci ha abituato, insieme alla considerazione della guerra come un evento naturale. L’appello del Papa ai leader politici sottrae lo Spirito di Assisi alle critiche di chi lo vorrebbe solo generoso richiamo ad una pace generica. La sfida è trasformarlo in geopolitiche virtuose e non contaminate dall’indifferenza. Per questo occorre pregare e agire. C’è una forza debole della preghiera che nemmeno i credenti sanno dove possa condurre. Ma sanno che è indispensabile. Ecco perché quelli di Sant’Egidio ogni anno ripropongono l’impresa. Ma per fare la differenza occorre che la politica e l’economia si convincano che la guerra non è mai un investimento ma sempre e solo una folle spesa e la madre di tutti le povertà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA