L’Italia in Europa
sorvegliata speciale

Il vertice europeo di ieri ha registrato almeno due elementi positivi: il primo è sicuramente il passo avanti sulla difesa comune, uno dei terreni su cui più difficilmente si è costruita in questi sessant’anni la coesione europea. Il secondo è la promessa – certo, ancora una promessa – che l’Italia non continuerà ad essere sola, insieme alla Grecia, ad affrontare il flusso migratorio, con alcune prese di posizione assai significative e impegnative tra i partners più importanti. Il terzo elemento, se si vuole, è quello che a Bruxelles ha portato il presidente della Bce Mario Draghi, e riguarda il consolidamento della ripresa economica del Continente che, per quanto non viaggi ancora alla velocità auspicabile per recuperare il terreno perso durante il decennio della crisi, tuttavia ci fa guardare al futuro con un ragguardevole sollievo. Tre elementi che si fondono in una ripresa della solidarietà europea: la conferenza stampa congiunta di Emmanuel Macron e di Angela Merkel, consuetudine ripresa dopo una lunga pausa, è stata la plastica dimostrazione di un asse franco-tedesco che si sta ricreando e che storicamente ha costituito il perno della costruzione europea.

Se a Bruxelles venerdì ci fosse stata Marine Le Pen al posto di Macron questo non sarebbe avvenuto, e anzi – per usare le parole di Paolo Gentiloni – avremmo suonato la campana a morto per la Ue. Invece al vertice «politico» della Unione ci sono due convinti europeisti, uno appena eletto e un’altra ragionevolmente certa sulla propria, prossima rielezione alla cancelleria berlinese. Le elezioni in Francia sono state il test fondamentale per evitare che quella campana suonasse, ma non solo: basterà ricordare che in Olanda e in Austria gli anti-europeisti hanno perso le elezioni e si sono invece affermate, sia pure con fatica, le forze più disposte alla lealtà continentale. La stessa Brexit sembra mettere in difficoltà più gli inglesi che gli europei che anzi sembrano aver riconquistato una certa fermezza nei confronti del Regno Unito come si è visto ieri quando Junker e Tusk hanno gelato Therese May, convinta di aver fatto delle offerte «generose» sulla permanenza dei cittadini comunitari in Gran Bretagna.

Insomma, la barca non sta affondando e anzi prosegue la sua navigazione. C’è però alle viste uno scoglio assai pericoloso che va assolutamente evitato e che da solo potrebbe comportare conseguenze disastrose. Lo scoglio è rappresentato dalle elezioni italiane. Il rischio che la competizione politica della prossima primavera nella Penisola porti alla instabilità uno dei principali partner dell’Unione è concreto e perfettamente conosciuto da tutte le «cancellerie»: ovunque, stando alle fonti diplomatiche, è stato tratto un sospiro di sollievo quando è stato chiaro che la corsa verso il voto, che sembrava doverci portare alle urne subito dopo l’estate, è stata bruscamente interrotta. Il brindisi delle Borse alla rottura delle trattative tra i quattro maggiori partiti sulla riforma elettorale, premessa delle elezioni anticipate, ha perfettamente rispecchiato gli umori degli altri Paesi. L’Italia resta così un sorvegliato speciale a causa del suo debito che da solo può causare sconquassi finanziari, e la confusione politica che caratterizza le sue istituzioni certo non tranquillizza.

Il fatto che nella prossima legislatura potrebbe non esserci una maggioranza chiara per mettere in piedi un governo, o che – peggio ancora – si possa manifestare una coalizione sovranista-populista tra grillini e leghisti, toglie il sonno a parecchi nostri interlocutori. La rassicurante presenza di Paolo Gentiloni e di Sergio Mattarella da questo punto di vista rincuora l’Europa ma non la tranquillizza fino in fondo, tanto è vero che molti guardano con speranza alla prospettiva di una «larga coalizione» che unisca centrosinistra e centrodestra in funzione anti Grillo e anti Salvini. Per questo molti vecchi avversari sono disposti ad aprire le braccia anche a Silvio Berlusconi, di nuovo omaggiato alla corte del Ppe.

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