L’inerzia politica
più grave del sisma

Nei concitati giorni seguenti il rovinoso terremoto che – nel dicembre 1908 – aveva raso al suolo Messina e Reggio Calabria il generale Francesco Mazza, nominato dal governo Commissario con pieni poteri, ventilò la possibilità di cannoneggiare dal mare le due città per scongiurare il pericolo di epidemie. Fortunatamente l’idea non ebbe seguito, ma resta come un monito rispetto alla complessità e alla difficoltà di fare scelte adeguate nel fronteggiare situazioni eccezionali.

La grande commozione per il tremendo sisma che mercoledì scorso ha colpito le popolazioni del centro Italia ha sviluppato un’enorme partecipazione che ha accomunato istituzioni, singoli cittadini, associazioni, organizzazioni private. Siamo ancora nel momento della massima criticità operativa, nella quale la rapidità degli interventi deve sommarsi alla capacità di fare, momento per momento, le scelte giuste

Compito di immane difficoltà, che – per definizione – non può essere esente da errori. L’abnegazione e lo spirito di sacrificio dei tantissimi che si stanno adoperando per salvare, soccorrere, alleviare le condizioni di vita dei superstiti, rimettere in moto un minimo di flusso di normalità nei luoghi del disastro, non possono e non devono essere sciupati. Così come non devono essere mal gestite lo slancio e la solidarietà che si stanno manifestando da parte di tanti cittadini. Occorre, quindi, mentre si lavora ancora «a mani nude» nei paesi massacrati dal terremoto, concentrare gli sforzi per evitare che – come è successo troppe volte in passato – l’impegno e i propositi dei primi tempi vengano vanificati da inerzia politica, lungaggini burocratiche, allentamento dell’interesse dell’opinione pubblica. In altre parole, sulla tragedia non deve cadere l’oblio, che tutto copre e stempera, occultando le responsabilità.

Per le istituzioni pubbliche, non meno che per i governanti (dal governo centrale a quelli regionali e locali), la capacità di gestire la rinascita delle zone terremotate è un’occasione di riscatto, che potrà aprire le porte ad un modo nuovo di affrontare – non soltanto nel momento e sul terreno dell’emergenza - la «difesa civile» delle zone del Paese a rischio geolog ico (terremoti, inondazioni, frane e altri disastri «naturali»). L’elemento fondamentale, specie in questa fase, è la qualità del coordinamento degli interventi di soccorso e di primo ripristino della vivibilità. Su questo terreno vigili del fuoco, personale della protezione civile, ospedali, forse di polizia sono il perno di azioni che vanno sapientemente coordinate per evitare dispersioni di forze e di risorse. Volontari, organizzazioni e gestori di pubblico servizio hanno bisogno di operare sulla base di indicazioni e direttive precise.

Ciò implica passare dalla logica emergenziale a quella della prevenzione. A tutti i livelli. Strategie di carattere medio-lungo che dovranno essere orientate ad abbassare, per quanto possibile, i livelli di rischio. Al riguardo, le parole del premier Renzi, a margine del Consiglio dei ministri di venerdì – «non considero i soldi spesi per la prevenzione una spesa. Li considero degli investimenti» – sembrano pervase dall’intenzione d’ intervenire con decisione su una stratificazione di ritardi, inefficienze, omissioni. Derivanti sovente da interessi occulti o provocate da malaffare vero e proprio. Di conseguenza, il terreno è irto di difficoltà e saranno necessarie forme di controllo efficaci, agili e stringenti. Il caso della scuola di Amatratice, consolidata nel 2012 secondo norme antisismiche e «misteriosamente» sfarinatasi come un grissino è un vero e proprio campanello di allarme. Su quanto e come si deve agire da oggi in poi.

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