L'Editoriale
Sabato 10 Marzo 2018
L’incontro Corea-Usa
Siamo solo all’inizio
E dunque, colpo di scena. Sei mesi fa, Kim Jong-un minacciava di lanciare missili sull’isola americana di Guam e Donald Trump andava all’assemblea generale dell’Onu a dire di poter «distruggere completamente» la Corea del Nord. Tre mesi fa il dittatore nordcoreano ammoniva gli Usa ricordando che «il pulsante nucleare è sempre sulla mia scrivania» e il presidente americano rispondeva con la famosa frase: «Il mio pulsante è molto molto più grande del tuo e funziona!». Adesso, invece, Kim si offre per un incontro con Trump e mette sul tavolo la disponibilità a fermare il suo programma nucleare militare.
E Trump accetta l’incontro, che si dovrebbe svolgere a maggio. Roba da spellarsi le mani a furia di applausi. E invece no. Anche se poco tempo fa si sentiva sull’orlo della catastrofe nucleare, oggi il mondo sembra poco disposto a entusiasmarsi per le novità in arrivo dall’Asia. Perché? Le possibili risposte sono molte. La prima potrebbe essere: perché sembra troppo bello per essere vero. Dalle ipotesi più cupe alle prospettive più rosee sarebbero passate solo poche settimane e la politica soffre di tanti mali ma non di eccesso di ottimismo. Pesa sugli americani un brutto precedente. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 la Casa Bianca di Barack Obama intrattenne un fitto dialogo diplomatico con Kim Jong-il, padre dell’attuale dittatore della Corea del Nord, finché fu firmato il cosiddetto Leap Day Agreement (l’Accordo del giorno bisestile, proprio perché siglato il 29 febbraio del 2012). Gli Usa avrebbero spedito alla Corea del Nord imponenti forniture alimentari in cambio dello stop al programma di armamento nucleare.
Poco dopo Kim Jong-il morì e il suo posto fu preso da Kim Jong-un che, essendo nato nel 1984, era allora ed è tuttora il più giovane capo di Stato al mondo. Per garantirsi l’appoggio dei circoli militari cresciuti durante il regime del padre, Kim fece un bel voltafaccia e nel giro di poche settimane lanciò due missili e tenne il primo dei suoi esperimenti nucleari, mandando ovviamente a monte l’accordo. Fu uno dei non rari insuccessi all’estero di Obama ma il suo ricordo è ancora vivo nei circoli diplomatici americani. Si capisce lontano un chilometro che gli Usa non si fidano e pensano che Kim potrebbe avere oggi la stessa esigenza che aveva nel 2012, anche se per ragioni opposte. Forse la follia dell’economia di Stato e le sanzioni lo spingono adesso a cercare consenso in patria con questa svolta «pacifista». Che arriva, però, dopo che ha raggiunto i suoi scopi: ormai dispone di missili che possono raggiungere le Hawaii e i servizi segreti Usa dicono che ha la capacità tecnica di miniaturizzare una bomba atomica per imbarcarla, appunto su uno di quei missili. Non a caso Trump ha subito ribadito che le sanzioni contro la Corea del Nord restano comunque in vigore. A distendere l’atmosfera, inoltre, non contribuisce l’atteggiamento di Cina e Russia. Le due potenze hanno sempre fatto da pompieri, cercando di disinnescare il conflitto, provando a far ragionare Kim e invitando Trump a più miti consigli. Ora dovrebbero festeggiare e invece ostentatamente tacciono, lasciando filtrare solo dichiarazioni di circostanza. Tutti, insomma, vogliono che l’altro dimostri la propria buona fede e offra la prova che è tutto vero. Il che rende sempre più importante, anzi decisivo, il ruolo di Moon Jae-in, il cattolico presidente della Corea del Sud che ha sempre sostenuto la linea del dialogo, anche quando gli Usa, che dopo tutto sono i garanti della sicurezza del suo Paese, si affrettavano a rinforzare le batterie missilistiche anti-Corea del Nord. È stato lui a battersi perché i nordcoreani partecipassero alle Olimpiadi invernali e sfilassero sotto una bandiera comune con i «cugini» del Sud. Lui a scambiare clamorose e distensive strette di mano in mondo visione. Lui ad alzare il livello politico di tale dialogo, una volta finiti i Giochi, inviando al Nord una delegazione di alto profilo, guidata da Chung Eui-yong, il consigliere per la sicurezza nazionale del Sud. E proprio dai colloqui che Chung ha avuto con Kim è uscita la clamorosa proposta.
Toccherà proprio al presidente della Corea del Sud, che incontrerà Kim in aprile, costruire un eventuale accordo tra lo stesso Kim e Trump, che si vedranno in maggio. Un compito difficile per Moon ma una posizione redditizia. Se sboccerà la pace sarà merito suo. Il giusto premio a chi ha saputo osare. Se Usa e Corea del Nord torneranno allo scontro sarà colpa di Kim e Trump. E saremo tornati al punto di partenza.
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