L’incanto dei bambini
e la notte dei sogni

Impossibile non guardare loro le mani. Quelle dita grassottelle che stanno aggrappate ai sogni. Attaccate a quella letterina scaldata da guanti variopinti, avvinghiate a quella balaustra di legno che compone da oltre cinquant’anni la Capanna de «L’Eco», sul Sentierone. I bambini ci si arrampicano e ben saldi restano qualche secondo immobili, estasiati dal velo che ricopre Santa Lucia, dal luccicare di quel bianco che la avvolge e la nasconde, ma solo un po’. Pochi secondi zitti sono un’eternità per questi ragazzetti in jeans e scarpe da ginnastica, berretti ben pigiati sulla testa e giubbotti più grandi di loro.

Qualche istante, per poi tornare a ridere e cantare, a correre sul quel Sentierone che sembra lunghissimo, una pista immensa su cui inventarsi giochi e salti. Per fare gare di velocità, per gridare al cielo. Gridare di gioia in questo giorno speciale, di attesa e bisbigli, con una candela accesa sul davanzale, l’anta della finestra socchiusa, l’immagine di zuccherini colorati che domattina comporranno percorsi di sorprese.

Buonanotte a questi sogni, a queste teste dai capelli a spazzola e trecce mai abbastanza lunghe. Buonanotte a occhi che non vorrebbero chiudersi per vedere, almeno quest’anno, Santa Lucia che varca la soglia con il suo asinello.

Allora ritorniamo a guardare quelle mani: essere bambini significa aggrapparsi con entusiasmo e amore incondizionato ai sogni. Che sono infiniti. Che non sono solo la bambola tuttofare e l’ultima costruzione supersonica. Sono l’immagine della meraviglia, sempre diversa e uguale nella sua bellezza: stupirsi della neve che cade silenziosa, dei riflessi delle case nelle pozzanghere, davanti a scuola. Ma anche ridere di pancia, sbellicandosi di gioia; un abbraccio sincero e mai dato per scontato, fare a cuscinate sul lettone, almeno una volta ogni tanto, prima di raccontarsi la storia della buonanotte. Quella che rinfranca i cuori e prepara ai sogni.

I bambini a sognare sono bravissimi e noi, grandi e arrabbiati, nervosi e indaffarati, non ce ne ricordiamo abbastanza. Quando urliamo (troppo), rimandiamo una carezza, un momento per giocare con questi piccoli che, seduti sul tappeto della sala, ci aspettano per costruire insieme nuove avventure. Il fatto è che non abbiamo tempo, o siamo troppo stanchi. O stiamo pensando a qualcosa, ma non ai sogni. Perché a quelli non ci crediamo abbastanza, avendo perso l’incanto e quel senso d’illusione che porta a nuove idee, a nuovi sorrisi. E a un modo di vivere che solleva un po’ dalla stanchezza quotidiana, in quest’epoca traballante e spesso troppo buia.

Ma almeno quest’oggi, almeno sotto il cielo di Bergamo che, anno dopo anno rivive la magia di una favola, proviamo a sognare a occhi aperti. Con un pizzico di follia, esuberante e infinita voglia di ritornare piccoli. Da loro, tra frasi sbilenche e guizzi geniali, impariamo sempre qualcosa. Anche che i tempi sono cambiati e lo scopri anche solo a guardare questi nanerottoli che si fanno il selfie davanti alla Capanna con lo smartphone di papà. Senza tanta fatica, non come quando c’era il fotografo intabarrato tutto il giorno sul Sentierone a far scatti ai bambini che salivano sull’asinello di un Babbo Natale dalla barba ogni anno meno bianca. Ma i bambini a quel vestito sgualcito non ci hanno mai fatto caso. Altri pensieri in quelle testoline felici, proprio come questa mattina – e questa sera –, quando staranno alla finestra attenti a rimirare il cielo. Per scoprire Santa Lucia tra le nuvole e perché le vecchie abitudini, il 13 dicembre a Bergamo, restano ben salde al cuore.

Proprio per questo dovremmo esserne sollevati, per questa tradizione fedele a se stessa, fatta di polvere magica e scampanellii: dona sicurezza, ci offre una speranza. E un sorriso che per un giorno il mondo è in mano alla favola.

Con un avvertimento (non me ne vogliate) alle mamme pronte a sfornare dolcetti per una notte dai sapori speciali: anche perfette, puntuali e sempre integerrime (ma come fate?), non sarete mai come Santa Lucia. Me l’ha detto pochi giorni fa mio figlio, sette anni e i capelli dritti come spaghetti: lei è più bella, anche di me che sono «la più speciale». La bambina, una che sa il fatto suo in tema di principesse e fatine, ha anche spiegato il perché: dipende dal velo, che è troppo magico, e dall’asinello, troppo forte. Insieme sono il sogno, ma anche la meraviglia.

E lo capisci ascoltando le frasi sbocconcellate nell’atrio di una scuola materna, speranze che si rincorrono nei corridoi, tra la merenda e le figurine: «Come farà a leggerle tutte, quelle letterine? E dove le metterà?». Perché Santa Lucia, per fortuna a dire il vero, la posta elettronica non ce l’ha ancora, e già si è dovuta adeguare a quegli scatti frettolosi in chiesa, in un attimo on line con Instagram, un attimo dopo su Facebook e Twitter.

Ma stanotte saranno altri i post in Rete: zerbini apparecchiati con carote, latte e una fetta di torta; alberi illuminati, sogni che passano per una bambola dai capelli biondi che la piccola troverà vicino al presepe. E la favola si compie. Basta allora una pagina che un’amica sfoglia veloce per capire lo splendore di questa serata, anche per noi adulti, anche se è senza stelle: «La notte si è messa il vestito nero, perché risplendano belli gli occhi dell’universo».

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