Libertà immaginarie
narcisismi di massa

In un racconto pubblicato in Francia qualche mese fa e tradotto in Italia per Raffaello Cortina, Marc Augé, immagina che il 1° aprile 2018, giorno di Pasqua, affacciato al balcone delle benedizioni, Papa Francesco confessa urbi et orbi che «Dio non esiste». Dopo qualche giorno di comprensibile disorientamento generale, nel cui clima i media fanno il loro sporco lavoro, le religioni provano a fare fronte comune, e a Roma si finisce per indire un nuovo conclave, diventa sempre più evidente che questo lampo di radicale consapevolezza si sta progressivamente accendendo in tutti gli esseri umani del mondo.

Viene fuori che questo inusitato risveglio planetario è frutto di un progetto scientifico e politico gigantesco, nome in codice Panoramix, impegnato a produrre un farmaco che elimina istantaneamente i processi neuronali che stanno all’origine di qualunque esperienza cosiddetta religiosa. Somministrata a tappeto attraverso i più svariati stratagemmi, la pozione magica trasforma la popolazione mondiale, finalmente liberata dal rampognoso morbo del senso religioso, in una distesa umana di radiosa tolleranza e di amicizia universale. I preti si danno alla filosofia, le ragazze islamiche cominciano a bere spritz con i capelli sciolti al vento, israeliani e palestinesi si abbracciano increduli sulla spianata delle moschee. Fine della storia.

Francamente: il racconto resiste per qualche capitolo alla quota di una convenzionale ma dignitosa letteratura filosofica, per poi sprofondare, come quando gli aerei fanno la picchiata puntando dritti al vuoto, nella panzana cinecomplottistica, afflosciandosi infine in un costernante wishfull ending, che ricorda molto da vicino il finale di «Chi ha incastrato Roger Rabbit?», con tutti i cartoni animati che, tra un lampeggiare di arcobaleni e un roteare di stelline, cantano in coro «dai, ridi, dai!».

La tesi è semplice e radicale: senza la religione, il mondo sarebbe più umano e pacifico, verrebbe meno il principale veicolo di violenza che attraversa le nostre società, lascerebbe all’esercizio della razionalità il compito di garantire al pianeta una vita senza illusioni ma vissuta nella pace.

L’abisso di ingenuità veteroilluministica aperto da queste cento pagine scarse, che credono sufficiente levarsi dai piedi l’illusione di Dio per rendere pacifico il mondo, già di per se stesso rende quella del libro una diagnosi abbastanza ballerina. Dio potrebbe anche non esistere, ma la religione, figuriamoci. Quella non la fermi mai. Magari si ritira dalle tradizioni confessionali, ma come fa un corso d’acqua sbarrato, trova sempre un alveo in cui scorrere, si infila comunque nei dinamismi più vivi del patto sociale. Basta andare allo stadio per capirlo.

Ma sotto gli effetti di questa superstizione intellettuale, resta oltretutto invisibile quella reale incandescente pulsione religiosa ormai annidata, con spaventosa abilità dissimulatoria, dentro quell’arcicapitalismo senza nome e senza legge, che domina la nostra vita civile, i cui meccanismi hanno la dispotica insondabilità degli idoli arcaici, officiato dagli avidi e spregiudicati chierici della finanza internazionale, che spargono titoli tossici come le indulgenze vendute nel medioevo, assistito dagli allegri diaconi delle nuove meraviglie tecnologiche, le confraternite multinazionali del monopolio degli affari, la permanente messa in scena di un paradiso immanente offerto all’esaltato individuo postmoderno, intronizzato sul dovere morale dell’acquisto.

Quel mondo di libertà immaginarie e narcisismo di massa, in cui per essere se stessi, tutti vogliono tutto come tutti, orientati da una persuasiva dottrina pubblicitaria che in un suo vecchio romanzo ha per tempo sintetizzato una felice battuta di quel genio di Philip Dick: «Dio promette la vita eterna; noi possiamo fare di meglio: possiamo metterla in commercio».

È a questo cupo e intollerante monoteismo tecnocratico, che si è pure ingoiato l’efficacia residua dei nostri processi democratici, che bisogna laicamente chiedere conto delle sperequazioni, degli squilibri, dei vergognosi dislivelli economici, di concentrazioni patrimoniali così immorali che ci vorrebbe una nuova parola per dirlo, del mondo ridotto a una pattumiera, dei deserti geografici, dei nuovi arrembaggi coloniali, delle impensabili miserie umane, del rancore sociale, del panico e della paura, dell’obbligato desiderio di fuga, della violenza, dei conflitti, della meschinità che la miseria strappa ogni volta dalla pochezza umana, della guerra tra poveri: compresa la sciura di Bergamo che dopo la messa prima borbotta con rancore contro quei beduini che portano via il lavoro ai suoi nipoti.

È al fanatismo di questo modello fuori controllo, sacralizzato come il destino ineluttabile della nostra civiltà, che andrebbe applicata tutta la passione del senso critico che la nostra storia, cristiana e filosofica, ci ha consentito di maturare. Ormai è tempo.

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