L’Europa dimentica
le finalità sociali

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che impone all’Italia di recuperare l’imposta sugli immobili non pagata dagli enti non commerciali tra il 2006 e il 2011 apre una riflessione cruciale sul senso dell’economia e sui suoi fini a beneficio dell’intera comunità. Si può in nome della libera concorrenza liquidare ogni ragionamento sulla finalità sociale? La Conferenza episcopale italiana ieri è intervenuta con una nota del Segretario generale monsignor Stefano Russo per sottolineare proprio questo: «È necessario distinguere le modalità con cui le attività sono condotte; una diversa interpretazione, oltre ad essere sbagliata, comprometterebbe una serie di servizi, che vanno a favore della collettività».

Insomma non tutto può essere lasciato solo alla autoregolamentazione del mercato. Dovrebbero sottolinearlo in molti soprattutto a sinistra, dove ieri invece si lodava la sentenza europea, ché finalmente la Chiesa paga, come se fosse il peggior evasore fiscale italiano.

La sentenza europea si occupa di infrazione alla concorrenza e di aiuti di Stato. In pratica spiega che l’esenzione dell’Ici per gli immobili di enti non commerciali, dove si svolgevano attività assistenziali, didattiche, recettive, culturali, ricreative, sportive deve essere considerato aiuto di Stato che viola la legge sulla concorrenza. E siccome ciò è avvenuto tra il 2006 e il 2011, prima che il governo Monti con la nuova legge sull’Imu mettesse le cose a posto rendendo più chiara una situazione poco chiara, le imposte ora vanno dettagliate e pagate.

Intanto sgombriamo il campo dalla polemica contro la Chiesa. Nel dispositivo mai viene utilizzata la parola «Chiesa», ma enti non commerciali, che sono definiti da una circolare delle Finanze del 2009. Ci sono gli enti ecclesiastici, ma anche Comuni, Comunità montane, consorzi, camere di commercio, le fondazioni liriche, università, associazioni di volontariato… Quindi il pagamento pregresso dell’Ici non è un problema solo per la Chiesa.

Che sull’argomento ci fosse confusione, qualche zona d’ombra e relativi vantaggi, la Cei non lo ha mai negato. Nel 2005, governo Berlusconi, l’esenzione valeva per tutte le attività indicate «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse».

L’anno dopo Prodi con Bersani ministro dello Sviluppo economico corregge la norma precisando che l’esenzione vale per le attività che non abbiano «esclusivamente natura commerciale». L’avverbio provoca una diatriba infinita.

È Mario Monti che mette la parola fine, con timbro dell’Ue, la quale chiude un’indagine per infrazione delle norme sulla concorrenza sollecitata dai radicali, evitando di chiedere all’Italia le somme non versate, perché realisticamente «impossibile». Una scuola privata romana appoggiata dai radicali non ci sta e ricorre. Ma il Tribunale dell’Ue conferma l’«impossibilità» fino alla decisione di ieri: l’Italia si organizzi e recuperi le somme, pena l’avvio di una procedura di infrazione che costa cara.

La colpa naturalmente è tutta della Chiesa, accusata ieri da quasi tutti di aver sottratto miliardi alla casse dello Stato. Ma sulle cifre c’è confusione assoluta. I radicali arrivano a 14 miliardi, per l’Anci sono poco più di cinque. In realtà l’unica stima ufficiale è contenuta in un Rapporto del «Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale» presieduto dal sottosegretario all’Economia del governo Monti Vieri Ceriani, non proprio uno sprovveduto essendo stato per anni a capo del servizio rapporti fiscali di Bankitalia, presentato il 30 dicembre 2011, che indica in 100 milioni il gettito che verrebbe recuperato dall’intera galassia non profit.

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