L'Editoriale
Lunedì 24 Aprile 2017
L’enfant prodige
e l’incubo Le Pen
Alla fine è andata come doveva andare e tanti saluti al Partito socialista, cui la Francia ieri ha celebrato un bel funerale di prima classe. È praticamente scomparso dalla scena politica d’Oltralpe: il suo candidato, Benoît Hamon, non è andato oltre il 7 per cento, il peggiore risultato di sempre per il Ps, che per la terza volta dal 1958 sarà assente dal ballottaggio. Mal comune mezzo gaudio con gli eredi dei neogollisti, è impressionante il crollo di consensi dei due partiti storici del bipolarismo francese, quelli che hanno governato la Quinta Repubblica: il frutto lampante della travolgente voglia di rinnovamento espressa da un elettorato mai così disorientato, e non solo dagli ultimi scandali: destra moderata e socialisti, sommati, sono al 27 per cento, mai nella loro storia erano andati sotto il 44 per cento.
A sfidarsi al ballottaggio saranno dunque Emmanuel Macron, l’enfant prodige liberal-socialista, e Marine Le Pen, leader della destra estrema, xenofoba e populista. È stata una campagna elettorale sfilacciata e lunghissima, iniziata praticamente in novembre, con l’ufficializzazione della candidatura di Macron (che ci stava lavorando sott’acqua da un annetto) e le primarie della destra. Tutta l’Europa e gran parte del mondo (sicuramente i mercati finanziari) guardano con apprensione a quello che è uscito dalle urne francesi, paralizzati dalla paura che fra quindici giorni possa trionfare Marine Le Pen. Non dovrebbe accadere, ma le sorprese in questa campagna elettorale davvero inedita sono state troppe, e troppo grosse, per dormire sonni tranquilli.
Veramente inedita, non è un modo di dire: non era mai accaduto che un capo di Stato (François Hollande) rinunciasse a ricandidarsi e che un ex presidente (Nicolas Sarkozy) tentasse di tornare in sella ma fosse umiliato alle primarie del suo partito. Non era mai accaduto che un ex capo del governo (Manuel Valls) fosse sconfitto nelle primarie della maggioranza al potere, e che un candidato stravincente (François Fillon) fosse indagato pochi giorni prima del termine ultimo per presentare la candidatura all’Eliseo. E non era mai accaduto, infine, che un uomo (Emmanuel Macron) sconosciuto al grande pubblico fino a solo due anni fa, praticamente senza esperienza politica, diventasse subito il favorito dei sondaggi.
Oggi Macron è il favorito per la vittoria finale e può affrontare il ballottaggio forte di alcune certezze. La prima, la più importante di tutte: i critici dicevano che i suoi messaggi erano ambigui, impalpabili? Un elettore su quattro evidentemente non la pensa così.
Marine Le Pen invece ha centrato il suo obiettivo minimo. Vince perché raccoglie il voto della massa degli scontenti, che nella Francia profonda sono tanti e cominciano a fare massa critica. Marine ha eguagliato suo padre, che nel 2002 arrivò al ballottaggio: il vecchio guerriero aveva umiliato il socialista Jospin per poi soccombere al Fronte repubblicano, quando al secondo turno la sinistra chiese ai propri elettori di convergere sul candidato della destra gollista, Jacques Chirac.
Il Front National intercetta il consenso di chi si sente escluso o penalizzato e comunque emarginato da una società che il capitalismo ha globalizzato male. Da qui il rifiuto verso la politica e la voglia di far esplodere il sistema e quindi scegliere il candidato anti-sistema per eccellenza. Lo stesso fiume in piena che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca.
Adesso bisogna vedere come gli sfidanti si riposizioneranno, ora che la sfida è diventato un duello. Probabile, per esempio, che Marine le Pen usi queste due settimane per rinunciare all’obiettivo dell’abbandono dell’euro, facendo un passo indietro per rassicurare l’elettorato della destra moderata, conservando invece l’uscita da Schengen e la lotta all’immigrazione. Gli sconfitti, gollisti e socialisti, hanno già detto di votare Macron: dovrebbe bastare, ma sarà durissima.
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