L'Editoriale
Mercoledì 20 Marzo 2019
Legge del mare
Legge del voto
Martedì 19 marzo il governo stava per scivolare su un altro caso Diciotti, la cui gestione – come dimostra la richiesta di autorizzazione a procedere per sequestro di persona del Tribunale dei ministri, cui il Parlamento è chiamato a pronunciarsi – è stata molto grave. La nave Mare Jonio della Ong italiana Mediterranea, partita da Palermo, che aveva soccorso 48 persone, tra cui 14 minori, al largo della Libia, è stata lasciata approdare a Lampedusa dopo un braccio di ferro con la Guardia di Finanza.
L’altro ieri aveva ricevuto il no del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che aveva anche varato le nuove regole in materia di sbarchi. L’imbarcazione batteva bandiera italiana, quindi il governo di Roma non poteva chiedere alcun aiuto all’Europa né intimare all’organizzazione di sbarcare nel Paese di provenienza come aveva fatto con un’altra nave di una Ong che batteva bandiera olandese o spagnola. Il Viminale ne ha chiesto il sequestro, poiché avrebbe dovuto consegnare i naufraghi alla Libia «mettendo a rischio la vita di 49 persone». Ma è come rovesciare la frittata. La Mare Jonio ha salvato 49 vite umane, non ne ha messo a rischio la vita.
Salvini canta vittoria («finalmente sono stati difesi i confini»), ma l’impressione è che nel Paese qualcosa sia cambiato. Gli italiani hanno capito che in quel momento si stava mettendo in gioco la legge del mare, lo stato di diritto, l’umanità. E il vicepremier leghista, che è un politico molto acuto nel capire l’aria che tira, deve averlo compreso, lasciando che la nave approdasse.
Triste vedere che la campagna elettorale per le europee continua a svolgersi sulla pelle delle persone. Chi era sulla Mare Jonio andava prima di tutto salvato: le regole e la politica di gestione dei flussi vengono dopo, se siamo veramente uomini. Non si può fare politica sulla pelle dei naufraghi.
Qualunque pescatore, come il comandante della nave Pietro Marrone, sa che il salvataggio in mare non è una concessione, ma un diritto inalienabile dell’uomo e non si può rispondere in modo politico a una enorme questione umanitaria che interroga profondamente il nostro modello di sviluppo e la nostra cultura.
Anche Salvini, che aveva negato l’ingresso nelle acque territoriali, aveva dichiarato: «Nessun pericolo di affondamento né rischio di vita per le persone a bordo (come documentato da foto) nessun mare in tempesta. Ignorate le indicazioni della Guardia Costiera libica che stava per intervenire, scelta di navigare verso l’Italia e non Libia o Tunisia, mettendo a rischio la vita di chi c’è a bordo, ma soprattutto disobbedienza (per ben due volte) alla richiesta di non entrare nelle acque italiane della Guardia di Finanza. Se un cittadino forza un posto di blocco stradale di Polizia o Carabinieri, viene arrestato. Conto che questo accada».
Ora, a parte il fatto che a un posto di blocco mai nessuno si sognerebbe di fermare, dopo averla identificata, un’auto con a bordo un ferito (anzi, di solito la pantera o la gazzella della polizia e dei carabinieri si mette davanti e guida la vettura fino al pronto soccorso), non possiamo fare finta che i centri libici siano hotel a quattro stelle. Sono dei veri e propri lager dove è praticata la tortura, la violenza, lo stupro sistematico, lo sciacallaggio, il sequestro di persona a fine estorsivo e via dicendo.
Onore dunque a Totò Martello, sindaco di Lampedusa, l’isola simbolo dell’accoglienza dei migranti del Mediterraneo, che ha detto: «La nave è italiana e il nostro porto è aperto e pronto ad accoglierla. I migranti salvati in mare vanno fatti sbarcare, curati e rifocillati».
Quello che mai si sarebbe aspettato il comandante della nave Pietro Marrone, vecchio lupo di mare che ha passato la vita guidando il suo peschereccio nel Canale di Sicilia e sa bene come sono le prigioni e i centri di detenzione libici, è stato il ricevere da una nave militare italiana l’ordine di spegnere i motori in mare aperto. Perciò ha risposto nel solo modo che poteva, con molta calma ma anche con molta fermezza: «Abbiamo persone che non stanno bene, devo portarle al sicuro e ci sono due metri di onda. Io non spengo nessun motore».
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